Da Mosca
Vladimir Putin torna al Cremlino col 64 percento dei voti. Ci torna da capo del governo. Come nel 2000. Due appuntamenti elettorali e tre mesi di campagna elettorale però hanno cambiato il paese e il presidente eletto sarà costretto a prenderne atto. Vladimir Vladimirovich resta figura centrale della politica federale ma non è più leader incontestato del paese. Il rischio e l’umiliazione del secondo turno sono stati evitati. Ancora da valutare però le conseguenze del prezzo pagato. Una strategia elettorale che ha messo in secondo piano i ceti urbani più dinamici per poggiarsi su altre categorie sociali: piccoli funzionari, salariati del settore pubblico, uomini e donne in divisa.
Messa in cantina la battaglia alla corruzione, dimenticata la necessità di modernizzare economicamente e politicamente il paese, i vecchi archetipi nazionali sono tornati a galla. Paternalismo sociale, ossessione da grande potenza, sindrome da fortezza assediata. Se, come ritiene il sociologo Lev Goudkov, in Russia esistono strati sociali anti-moderni questi hanno cercato in massa la protezione del nuovo/vecchio presidente. Invece di consolidare la nazione attorno alla sua figura il capo del governo in carica ha scelto la strada della scontro culturale e di classe.
Le sfide della globalizzazione verranno affrontate da un paese diviso. Almeno inizialmente. Intellettuali e classe media dei centri metropolitani contro i colletti blu rurali e industriali della glubinka, il cuore della Russia profonda. I primi passi del nuovo presidente vedranno metropoli e campagna schierate su fronti opposti?
Incapace di costruire un’alternativa. Questa l’accusa principale nei confronti dell’opposizione. Fondata? Certo. Desolante lo spettacolo dei dieci leader anti-sistema chiamati al Cremlino da Dimitry Medvedev per contribuire alle riforme politiche. La frammentazione del fronte anti-Putin non è una novità. Per poter valutare lo stato di chi vuole l’alternativa occorre però avere presente che dopo decenni di “religione comunista”, la nuova Russia ora affida alla tecnologia politica i compiti dell’arte politica. Duma, partiti, sistema giudiziario, sono istituzioni prive di efficacia e potere reali alimentate solo dalla luce riflessa dal Cremlino. Non stelle ma lune.
Un contesto che blocca ogni forma di creatività politica. Come possono affermarsi personalità originali e forze politiche innovative se il momento elettorale è sottoposto a un processo di “sterilizzazione multipla”? Se candidati indipendenti e caratterizzati da programmi competitivi non hanno speranza di superare il momento dell’iscrizione alle liste? Se ai mezzi di comunicazione di massa sono ammesse forze già votate alla sconfitta? Come rinnovare l’economia liberandola dalla “maledizione” degli idrocarburi se i ceti più dinamici del paese sono costretti a non trovare autentica rappresentanza politica?
Il 24 settembre Dimitry Medvedev annunciava, senza diritto di replica, che solo Putin poteva salvare il paese. Da questo errore clamoroso del tandem è disceso quello di dicembre. Fare in modo che alle elezioni legislative di dicembre Russia Unita, il partito presidenziale, raggiunga ad ogni costo maggioranze bulgare. Da qui i brogli elettorali. Un passo falso che ha messo Medvedev e Putin in un vicolo cieco.
Il presidente in carica umiliato cerca ora una rivincita annunciando raffiche di riforme liberali e Innovazioni democratiche. L’ultimo passo è di stamattina. Il presidente ha ordinato la verifica di legalità sulla sentenza Khodorkovskij e di altre 31 personalità in prigione per crimini economici. Difficile capire perché il capo dello stato, se aveva motivi per affrontare argomenti tanto spinosi, abbia atteso quattro anni e la fine ingloriosa del suo mandato.
Diversa la situazione di Putin. Dopo le accuse di brogli e le manifestazioni che vedevano in lui il simbolo di tutti i mali russi, il premier ha visto nelle presidenziali la possibilità della rivincita. Con un opinione pubblica allertata Putin si visto stretto in una tenaglia. Prendere meno del 54% significava diventare un leader azzoppato. Andare oltre il 60 sarebbe per molti sarebbe stata la conferma dell’ennesima manipolazione del voto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il nuovo presidente avrà bisogno di mostrare i muscoli al mondo. Nel film presentato dalla tv tedesca il capo del governo russo invita chi vuole capire il suo paese a non concentrarsi sui singoli uomini politici ma a sentire il polso del popolo. Un modo pittoresco per dire che la federazione negli affari mondiali tutela sempre i propri interessi indipendentemente dai propri vertici. La difesa a spada tratta della Siria lo dimostra. Dopo lo scivolone sulla Libia, Mosca non abbandonerà gli alleati più stretti. In Medio oriente Damasco e Teheran.
Oggi sarà il giorno delle manifestazioni. Pro e contro Putin. Lo stesso potrebbe accadere nei prossimi giorni, in un crescendo rischioso. A Mosca la situazione è leggibile. Si manifesta con l’accordo delle autorità cittadine. A Pietroburgo il clima è più accesso. Nessun permesso e manifestanti disposti a piantare le tende. Un clima ucraino che il potere federale non tollera. Vorrebbe dire passare da manifestazioni prive di disegno politico a piani di messa in discussione dell’ordine costituito. Nella capitale si attendono le mosse di Prokhorov. Secondo molti l’oligarca è la vera novità delle presidenziali. Secondo altri rappresenta l’ennesimo progetto di tecnologia istituzionale del Cremlino per ingabbiare il bisogno di nuova politica. Il magnate economico ha sottolineato di non riconoscere l’onestà delle elezioni di ieri. Contemporaneamente ha chiarito che non intende presentarsi stasera in Piazza Puskhin a sostenere chi sullo scrutinio la pensa come lui. Come finirà?