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Russia fase due. La normalità sarà diversa.

Un po’ intontito ma molto deciso il potere russo tira un sospiro di sollievo. L’accoppiata elettorale parlamento/presidente inizialmente classificata come un appuntamento di routine si è rivelata invece un doppio salto mortale. Superati gli ostacoli col minimo dei danni le elite federali intendono ora voltare pagina. Questo il succo della conferenza stampa con cui mercoledì scorso la signora Valentina Matvienko, speaker del Consiglio della federazione, il Senato di Mosca, ha fatto capire che il paese torna ai dossier interni e internazionali più urgenti. Iniziativa di una certa consistenza anche per il luogo dove si è svolta. Ministero degli esteri, locali nuovi di zecca del dipartimento informazione. Stampa russa e internazionale convocata in grande stile a dimostrazione che nel nuovo corso del Cremlino troverà spazio anche il soft-power.
 
Sarà però possibile cambiare radicalmente discorso rispetto agli avvenimenti degli ultimi quattro mesi? È soprattutto sarà possibile farlo rivendicando una sorta di “normalità” russa come ha lasciato intendere l’ex prima cittadina di San Pietroburgo? Elezioni, tensioni e manifestazioni sono sinonimi in tutto il mondo ha insistito garbatamente Valentina Ivanovna, perché la Russia dovrebbe costituire un’eccezione?
Paese costantemente accerchiato da avversari. Civiltà slava crocevia dei destini mondiali. Collettività ortodossa da amare col cuore più che capire col cervello. Le originalità della cultura politica di Mosca, sfruttate al massimo da Vladimir Putin nella sua faticosa e improvvisata campagna elettorale, inaspettatamente non valgono più.
 
Interrogativi sul futuro
 
Il brontolio federale non si è ovviamente spento. Lo si capisce dalle iniziative di una certa consistenza da qualche tempo sempre più presenti nella vita quotidiana russa. Avvenimenti, dolorosi e tragici, curiosi e bizzarri, cui l’attivismo di una società civile in formazione cerca di far perdere il momento contingente per trasformarli in interrogativi sul futuro del paese e della sua popolazione. A volte con ragione altre meno. Cosi la strampalata performance di un gruppo punk femminile, Pussy Riot. Un mini concerto in maschera sull’altare della chiesa del Cristo redentore, da espressione di villania verso la sensibilità dei fedeli si è mutato in un dibattito su forma e sostanza della principale confessione russa. Le polemiche su democrazia ecclesiale, forma più o meno autoritaria della liturgia, pietà della vita religiosa, disposizione clericale al perdono e l’amore, hanno riaperto un travaglio ortodosso mai messo completamente a tacere. Riportando a galla conflitti simili a quelli che negli anni ’90 hanno accompagnato crollo sovietico e transizione verso la nuova Russia. Con accuse reciproche di miscredenza e incredulità.
 
Stesse tendenze nel caso dell’imprenditore Aleksej Kozlov. Il marito di Olga Romanova, nota giornalista di opposizione, al centro di un complicato imbroglio mediatico-economico giudiziario condito da codazzi di rancori personali, viene descritto come un potenziale nuovo affaire Khodorkovskij. Non senza tutti i torti probabilmente visto il legame malsano tra denaro, potere e media che in Russia avvelena i rapporti tra questi settori.
Ennesimo, vero scandalo poliziesco è stata invece la morte di Sergej Nazarov. Dal 9 all’11 marzo a Kazan, regione del Volga, quest’uomo di cinquantadue anni, presunto colpevole del furto di un cellulare è stato stuprato a morte con una bottiglia di spumante da cinque poliziotti. I risultati delle indagini condotte da una commissione arrivata da Mosca hanno portato all’arresto degli autori dell’omicidio e al licenziamento in blocco dei dirigenti del commissariato. Nessun provvedimento invece per i gradini più alti della gerarchia. Nessun quadro dei ministeri degli interni, locale e federale, è stato chiamato in causa. Prendendo spunto da quanto avvenuto nella capitale del Tatarstan, il quotidiano Komsomolskaja Pravda ha fatto l’elenco di casi simili. L’ultimo in ordine di tempo si è avuto a Mosca dove mercoledì scorso uno studente ha corso il rischio di finire come Sergej Nazarov. In rientro da Pechino il giovane è stato arrestato e torturato all’aeroporto di Domodedovo. Un supplizio finito solo con la sottoscrizione di una dichiarazione di colpevolezza. Igor Kaljapin del comitato antitortura federale, ritiene il comportamento di questi settori delle forze dell’ordine frutto della riforma degli organi di sicurezza “annunciata” da Medvevdev ma “mai realizzata” dalla burocrazia federale. secondo l’attivista dei diritti umani nel paese manca ancora la volontà politica di mettere sotto controllo la polizia. Le strutture, prima spaventate dalla possibile perdita di privilegi, ora si starebbero vendicando sicure dell’impunità.
 
La protesta in attesa
 
Sempre più spesso a queste e altre oscenità piccole e medie la “classe creativa” del paese reagisce mettendo in piedi comitati, strutture di base e associazioni di vario tipo e dimensioni. Si chiedono punizioni per chi commette abusi di potere senza dimenticare le responsabilità dei vertici federali politici e amministrativi. Si monitorano arbitrii, rappresaglie, regolamenti di conti e abusi commessi dalle autorità. I cittadini che violano la legge devono andare incontro a pene certe ed eque. Di nuovo esemplare il caso Pussy Riot. Il concerto improvvisato nella basilica è stato ritenuto atto di “teppismo”dagli inquirenti. Un reato per cui in Russia si possono prendere fino a sette anni di prigione. Ai dignitari ortodossi viene chiesto di dare prova di umanesimo e comprensione cristiana. Il perdono parziale di Pussy Riot eviterebbe alle ragazze pene risparmiate a volte anche a chi commette reati di sangue.
 
La protesta di piazza si trova invece in un momento di stanca. Il potere che finora ha sempre permesso la massima libertà di manifestare potrebbe sfruttare questo riflusso per venire meno agli impegni riformisti presi subito dopo le legislative di dicembre. Passata la paura iniziale l’esecutivo russo potrebbe ora varare norme non solo prive di conseguenze reali ma che potrebbero andare addirittura nella direzione opposta a quella dichiarata. La riforma della legge per la registrazione dei partiti è un esempio. Il progetto, passare dall’obbligo attuale di avere 40mila membri per essere legalmente riconosciuti ai 500 indispensabili in futuro somiglia a un trucco. Un passo di questo tipo senza la contemporanea abolizione del divieto a costituire alleanze o blocchi elettorali e mantenendo la soglia di sbarramento al 7% dei voti, non farebbe altro che frantumare il panorama politico federale ostacolando la nascita di forze politiche alternative a quelle al potere. Lo stesso si potrebbe dire per il ritorno all’elezione diretta dei governatori locali. Nella misura apparentemente accessoria del “filtro” presidenziale, si cela il dettaglio che potrebbe riportare nelle mani del Cremlino il pallino del gioco. Le mura istituzionali della Federazione russa cambierebbero solo il colore della facciata continuando a poggiarsi sulle vecchie impalcature. Trascurando però un dettaglio essenziale. Gli abitanti del condominio russo non sono più gli stessi.


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