Il coraggio di Monti e Fornero sulla riforma del lavoro si è dovuto arrestare di fronte al blocco della CGIL e del PD sull’art.18.
Inutile salmodiare in merito all’immodificabilità del testo governativo, nel momento in cui si è scelto lo strumento del disegno di legge destinato a infrangersi sugli scogli del dibattito parlamentare.
Un dibattito reso ancor più complicato dalle prossime scadenze elettorali e dopo l’annuncio del presidente Napolitano della rinuncia a ripresentare la propria candidatura nel 2013.
I tecnici graditi all’establishment europeo rischiano la stessa fine del governo Berlusconi con Cofferati nel 2002 : chi tocca l’art.18 muore.
Certo alcune cose positive sembrano essere contenute in un disegno di legge, peraltro non ancora del tutto noto nella sua definitiva formulazione scritta. Pensare, tuttavia, che un piccolo imprenditore nel caso di licenziamento per motivi economici possa aprire il portafoglio dell’azienda per riconoscere un’indennità di 15 e sino a 25 mensilità mi sembra pura fantasia.
Più facile che non assuma, specie in una condizione come quella attuale di crisi economica e finanziaria, o che cerchi in tutti i modi di ricorrere al lavoro in nero: l’esatto contrario di ciò che la riforma si propone. Chi vivrà vedrà.
Intanto appare sempre più netta la faglia determinatasi tra Costituzione formale e materiale dell’Italia e quella europea.
Lo spread determinatosi tra la Costituzione italiana “fondata sul lavoro” e la Costituzione europea “ fondata sulla tutela delle regole del mercato” e della libera concorrenza, comporta una rotta di collisione dalle inevitabili conseguenze conflittuali permanenti.
E’ il tema che andiamo svolgendo da molti mesi, quello della necessità di un nuovo patto costituente in grado di affrontare il superamento della Costituzione del 1948 per renderla adeguata alla nuova situazione che Europa e globalizzazione impongono.
I partiti della seconda repubblica sembrano non tener conto di questo fatto e continuano a muoversi secondo i rituali determinati dalle vecchie consunte regole, come zombies stralunati alla mercé di un governo tecnico teleguidato da un Presidente della Repubblica che annuncia il suo prossimo ritiro.
Occorre una forte ripresa di iniziativa politica e avviare una grande mobilitazione popolare per una nuova Assemblea Costituente, nella quale rappresentare le culture politiche presenti nella realtà italiana nella loro concreta espressione.
Ricostituendo gli organi della, mai sciolta giuridicamente, Democrazia Cristiana e aprendo il tesseramento per un Congresso nel quale riunire quanti credono ancora nei valori del popolarismo sturziano e degasperiano declinati secondo le indicazioni pastorali della Caritas in veritate e sono interessati a ricollegare l’esperienza dei democratici cristiani italiani a quelle degli altri partiti di ispirazione popolare europei, siamo convinti di contribuire positivamente al superamento della crisi morale, culturale e politica dell’Italia.
Lo faremo Venerdì 30 Marzo prossimo, con il Consiglio nazionale auto convocato della DC, senza alcuno spirito di rivincita, ma con la netta determinazione di riaprire una testimonianza e garantire una nuova offerta di impegno per le nuove generazioni che credono nella libertà e nella difesa irrinunciabile dei valori non negoziabili della vita, della centralità della famiglia, della libertà religiosa e educativa , supportati dai principi e dagli strumenti della sussidiarietà e solidarietà.