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#Lega. Elettori padani in cauta attesa

Quando negli ultimi mesi il nord è stato scosso da alcuni lievi movimenti tellurici, più di uno ha pensato: “È la Padania che si stacca”. La netta opposizione della Lega nord ai provvedimenti del governo Monti e in generale all’attuale esecutivo ha alzato il livello dello scontro all’interno dell’area di centrodestra, riportando il movimento fondato da Umberto Bossi alla ripresa degli antichi valori, alla Lega di lotta e non di governo. Una scelta che ha generato terremoti di ben altro spessore nei rapporti con gli (ex?) alleati del Popolo della libertà, viceversa a Roma presenti nella maggioranza di governo.
 
Dalle nubi addensatesi sulle poltrone delle giunte regionali di Piemonte, Lombardia e Veneto alla decisione di correre separatamente alle prossime comunali, le tensioni tra gli esponenti del centrodestra permangono: ma è così anche per il popolo del centrodestra? I cittadini più vicini alla Lega e quelli più vicini al Pdl si sentono ugualmente distanti?
 
Il 37% degli elettori del nord prende in considerazione oggi di votare alle prossime politiche il Pdl o la Lega. Questo non vuol dire che li voteranno. Ma che ci pensano e potrebbero farlo. Si tratta di una percentuale molto importante, e che lo diventa ancora di più se escludiamo il 24% che non prende in considerazione alcun partito. Nel dettaglio il 30% potrebbe votare il Pdl, il 21% la Lega. Il 14% mantiene aperte entrambe le opzioni: vale a dire il 68% del bacino potenziale della Lega, e poco meno della metà di quello del Pdl.
 
Questa area trasversale ai due partiti è contenta dell’operato di entrambi e boccia l’operato del governo Monti, di cui non si fida fino in fondo e che va a colpire status quo consolidati. Ne riconoscono però l’effetto risanatore e taumaturgico, una cattiva medicina che va presa. E così sono soddisfatti delle liberalizzazioni promosse dal governo, ma danno il loro sostegno al Movimento dei forconi. E così pragmaticamente appoggiano il Pdl e la sua presa di responsabilità per la governabilità, e alla Lega le battaglie sugli interessi più personali. Se escludiamo Umberto Bossi (che presenta un indice di fiducia tra i più bassi in assoluto, e non riesce a raggiungere il 50% neanche tra i potenziali elettori della Lega nord), i leader del centrodestra (Berlusconi, Alfano, Maroni) raccolgono l’approvazione della maggioranza dei bacini di entrambi i partiti.
 
Questa rilevante area di centrodestra, più coesa di quanto ci si potesse aspettare, rappresenta per la maggior parte la fascia attiva del nord. Dai 25 ai 64 anni per il Pdl, ancora più ristretta (35-54 anni) per la Lega. Ha poco (o comunque meno degli altri) da spartire con la lotta a difesa delle pensioni portata avanti a più riprese da Bossi. Solo il 31%, a fronte di un dato medio sulla popolazione del 41%, è pensionato. Si tratta invece, così come per il Pdl, in larga parte di liberi professionisti e artigiani, commercianti e impiegati, imprenditori, operai e agricoltori. Che hanno visto negli ultimi 12 mesi eroso il proprio potere di acquisto, che sono ricorsi in alcuni casi ai risparmi accumulati, che si aspettano di dover spendere ancora meno nel prossimo anno. Ma che complessivamente possono affermare di avere una vita lavorativa più tranquilla e meno instabile degli altri, di lavorare in luoghi e settori che crescono più di altri, e di avere una certa fiducia nel futuro.
 
Per questo hanno un approccio positivo e non di chiusura rispetto alla riforma del lavoro. Si dichiarano d’accordo con l’abolizione del valore legale della laurea e della cassa integrazione straordinaria, che una parte non irrilevante considera strumenti poco competitivi. Ma le storie personali (e non le ideologie) li distinguono nell’orientamento rispetto al partito. Il bacino del Pdl vede con molto favore l’introduzione del contratto unico, quello della Lega il reddito da disoccupazione.
 
“It’s the economy, stupid” è uno slogan che ha caratterizzato la campagna presidenziale americana del 1992, quando il candidato democratico Bill Clinton sconfisse il presidente in carica George Bush. L’anno precedente il Paese era entrato in una profonda recessione, ma l’amministrazione Usa, distratta dai successi in politica estera (fine della Guerra fredda e le operazioni della Guerra del Golfo) e, anzi, adagiandosi su di essi, non affrontò adeguatamente l’emergenza occupazione e crescita. La scelta di Monti, ministro dell’Economia e presidente del Consiglio, risponde alle attese degli italiani (comprese quelle del centrodestra del nord) di focalizzarsi sul problema di gran lunga più sentito nel nostro Paese, quello del lavoro.
 
Nell’universo del nord solo il 13% del bacino del Pdl e il 20% di quello della Lega chiede di andare immediatamente al voto. Gli altri chiedono a Monti un impegno che va dalla stabilità economica alle grandi riforme strutturali. Ma se l’ex rettore della Bocconi ed ex commissario europeo non dovesse essere all’altezza delle aspettative, e se la Lega non riuscisse a dare risposte credibili, l’interesse degli elettori di centrodestra potrebbe rivolgersi non più solo all’offerta politica attualmente presente, ma a movimenti nuovi che potrebbero affacciarsi nell’arena nel prossimo futuro.

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