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Mali, si ferma la marcia comune di tuareg e islamisti

Nel Sahara transita il 15 percento della cocaina mondiale. Proveniente dall’America latina una parte della droga raggiunge Israele attraversando il Sinai. Un’altra invece, via Sudan, sbarca sul Golfo persico. Il resto si dirige verso i porti mediterranei per approdare in Europa. Utilizzando vecchie strutture precoloniali e antiche vie di circolazione nord-sud e ovest-est, bande criminal-politiche si stanno impossessando di un territorio enorme, dall’Atlantico all’oceano Indiano, smisuratamente povero e dalle frontiere più porose di una spugna gettata in mezzo al mare. Spazi impossibili da percorrere senza coinvolgere dogane servizievoli, organizzazioni mafiose, eserciti corrotti, islamisti invasati, guerriglieri proto-nazionalisti, terroristi e trafficanti transnazionali di ogni tipo. Fanatismi normalmente in lotta tra loro ma senza nessun problema a unirsi quando si tratta di spartirsi tangenti, percentuali, mediazioni,frutti di ricatti, traffici di stupefacenti, armi, esseri umani e attività clandestine di ogni tipo. In uno di questi gironi danteschi si trova anche il Mali. Come i paesi vicini Burkina Faso e Niger un concentrato di piaghe economiche e sociali, alimentate, sfruttate e rese esplosive da chiunque voglia destabilizzare la zona. Un mondo africano interconnesso e aperto, bloccato dall’imposizione di frontiere artificiali che hanno costretto pastori nomadi del nord e agricoltori sedentari del sud a vivere insieme.
 
Un vulcano regionale tra secessione e sharia
Una regione carica di materie prime. Uranio, ferro, petrolio. Idrocarburi e non solo. Una manna per paesi affamati di energia. Un vulcano che esplodendo diventerebbe la miccia in grado di incendiare altri focolai regionale. Il nord della Nigeria con i propri fondamentalisti di Boko Haram. Il Sahara nord occidentale. Le frontiere che Algeria, Marocco e Mauritania hanno in comune con il Polisario.Territori tutti estremamente vulnerabili alle variazioni politiche e climatiche. Come ogni minima siccità nasconde rischi di carestie devastanti, cosi ogni modifica dello status quo istituzionale è ritenuta mortale da chi paventa di subirne le conseguenze. Un contesto naturalmente traballante reso ancora più imprevedibile dalla scomparsa del regime libico. In questa parte del continente nero poteri e ribellioni erano inconcepibili senza i soldi, le armi, gli stimoli e i diktat provenienti dal boss di Tripoli. Dittature severe il prezzo da pagare. Stabilità imposta a paesi-mosaico oggi a rischio di esplosione, l’incasso da riscuotere.
Questo è il palcoscenico dove oggi si svolge il dramma del Mali, paese sempre più vicino alla frantumazione territoriale e politica. Dopo il colpo di stato contro il presidente Amadou Toumani Touré la giunta militare si sta rivelando incapace di far fronte ai compiti di governo. Le due fazioni tuareg che si sono schierate contro il putsch, il Movimento nazionale per la liberazione dell´Azawad (MNLA) e la nebulosa islamica Ansar ad Din,Difensori dell’Islam, combattono insieme i golpisti ma si dividono su punto cruciale. Per il MNLA il nord del Mali deve diventare uno stato indipendente. Per Ansar ad Din si tratta invece di imporre la sharia su tutto il paese. Un passo su cui pretende l’accordo delle autorità centrali. Le divisioni sono apparse nettamente dopo il crollo di Timbuktu, città del nord del Mali conquistata la settimana scorsa dal MNLA. Con la caduta della città la spaccatura del paese africano era vista più vicina. L’indipendenza del nord più realistica. La regione che i guerrieri tuareg voglio sottrarre alla sovranità del Mali è un triangolo composto a sud dalle città Timbuktu e Gao. A est nord e occidente i limiti sono imposti invece dai confini con Niger, Algeria e Mauritania. Sin dal momento dell’indipendenza del Mali nel 1960, i tuareg hanno sognato un proprio stato. Costretti a questa prospettiva dalla politica dell’ex potenza francese. Durante la transizione anticoloniale Parigi privilegiava le elite del sud del paese escludendo i tuareg da ogni forma di gestione politica e amministrativa della nuova istituzione. Già nel 1956 la scoperta del petrolio nel sud dell’Algeria sommata alle ricchezze del Sahara, aveva spinto l’Eliseo a tentare la nascita di una Organisation commune des régions sahariennes (OCRS). Un abbozzo di lega regionale sovranazionale disapprovata da tutti ad esclusione dei tuareg e gli investitori transalpini.
 
L´alleanza si ferma a Timbuktu
Il golpe di marzo ha visto però per la prima volta un movimento legato a questa etnia africana diffusa tra Algeria,Libia, Mali e Niger mettere sulla propria bandiera il simbolo, Azawad, della secessione. Difficile dire valutare esattamente quale sia dimensione militare del progetto separatista. MNLA dovrebbe contare su 2mila uomini, in gran parte ex mercenari di Gheddafi che hanno conservato disciplina militare e attrezzature belliche dell’esercito libico. A questi vanno sommati centinaia di guerriglieri inquadrati sotto bandiere fondamentaliste. Ansar ad-Din è una struttura opaca, probabilmente controllata da al Qaeda nel Magreb islamico, con retrovie nel nord del Mali. Da qui, insieme ad altre tribù tuareg, organizza le carovane della cocaina sudamericana attraverso il Sahara. Tra i motivi principali del colpo di stato del 22 febbraio vi era proprio l’indifferenza governativa nei confronti del terrorismo islamista del nord. Secondo lo storico franco-olandese Baz Lecocq, Ansar ad-Din fa parte della tribù malese Ifoghas presente nell’omonimo massiccio montuoso confinante con l’Algeria. A differenza degli altri tuareg, islamici ma di tendenze sufi, gli Ifoghas praticano l’ortodossia sunnita, si ritengono eredi diretti del profeta, rifiutano culti e credenze sufi. Ansar ad-Din è nata poche settimane fa, fondata da Iyad ag Ghali, il leader di una precedente rivolta tuareg. Dopo la ribellione degli anni novanta e la pace del 1996 Iyad ag Ghali si era trasferito a Bamako dove pretendeva di parlare a nome di tutta l’etnia. Contemporaneamente nella capitale del paese aveva cercato l’integrazione col l’elite al potere, ottenendola al punto da essere nominato ambasciatore in Arabia Saudita. Un incarico che ne ha sicuramente stimolato la propensione all’estremismo. A Riad infatti oltre a frequentare regolarmente le lezioni religiose dei wahabiti condivideva il puritanesimo fondamentalista che nel regno dei Saud regola tutti gli aspetti della vita quotidiana. È sicuramente grazie a questi legami se nelle trattative segrete sugli ostaggi in mano ai terroristi di al Qaeda nel Magreb islamico Iyad ag Ghali era riuscito ad assumere il ruolo dell’emissario del presidente maliano Touré. Nulla vieta dunque di pensare che le attività tra Iyad ag Ghali e al Qaeda nel Magreb siano la faccia di una stessa medaglia e che la vera regia dell’insurrezione tuareg sia nelle mani dei fondamentalisti.
 
Il momento culminante di questa strategia, la presa di Timbuktu è stato però anche il catalizzatore dei contrasti tra le due ali dell’etnia africana. Secondo testimonianze locali domenica sera l’ MNLA dopo aver rubato le automobili delle organizzazioni internazionale e assaltato le banche cittadine ha abbandonato la città appena conquistata. “Un tradimento” per i locali che il giorno dopo hanno visto le unità islamiste sottomettere Timbuktu senza colpo ferire. Significativamente uno dei primi gesti dei nuovi padroni della piccola metropoli è stato quello di strappare la bandiera issata il giorno prima dai propri alleati, il tricolore indipendentista verde-rosso-nero con triangolo giallo, per sostituirvi il drappo nero islamista con i versi del Corano e dichiarare la Timbuktu quartier generale di Ansar ad-Din. Lo scorso gennaio quando i tuareg al rientro dalla Libia hanno iniziato la ribellione nel nord del Mali Iyad ag Ghali era con loro. Tutte le richieste fatte dagli alleati per prendere le distanze da al Qaeda, hanno visto il rifiuto del leader islamista. Della vicinanza tra gruppo salafita e schegge dissidenti di al Qaeda nel Magreb islamico, si era cominciato a parlare da metà marzo quando, con un video messaggio era stata annunciata la fondazione di Ansar ad-Din. Allora si riteneva che la collaborazione fondamentalista avvenisse tra estremisti locali e connazionali presenti in Mauritania. Quanto è avvenuto domenica ha cambiato però le carte in tavola. A Timbutktu il leader di Ansar ad-Din era in compagnia di Mokhtar Belmokhtar, uno dei fondatori di Al-Qaeda in Africa. L’incontro ha riacceso i timori di un terrorismo transnazionale africano che punterebbe a riunire in un triangolo infernale Al Qaeda nel Magreb islamico, Boko Haram in Nigeria e gli Shebab somali. Una minaccia che per ora è solo fantastica visti i differenti contesti locali. Sinergie tra tecniche terroristiche e attentati suicidi invece inquietano di più. Dopo la scomparsa negli arsenali libici di migliaia di missili terra-aria trasportabili gli investigatori ritengono possibili attentati contro aeri civili in volo su una delle capitali della regione.
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