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Se non cresce il Pil, che cresca il ben-essere

Una medaglia è il premio per chi sale sul podio alle Olimpiadi. Una medaglia è il premio dei militari e delle Forze dell’ordine che si sono distinti nel loro servizio. Quelle degli sportivi, dei militari e dei poliziotti sono attività che richiedono un impegno personale che va ben oltre l’ordinario, tanto che si parla comunemente di sacrificio. Eppure per queste attività la ricompensa non è costituita dal denaro, ma da un oggetto che ha un valore solo simbolico. La medaglia è il segno dell’onore che la società tributa a chi si è distinto. È significativo che proprio le attività che impongono sacrifici, anche fisici, abbiano un sistema premiale del tutto estraneo alla sfera economica.
 
Quello degli onori è un meccanismo motivazionale che mette in crisi il main-stream della società di mercato basato sull’homo oeconomicus, che agisce solo razionalmente alla ricerca dell’utile/profitto. La tradizione millenaria e l’emozione corale che caratterizza le premiazioni dimostra che l’onore è radicato nella psicologia sociale dell’essere umano. L’onore riesce ad incentivare comportamenti virtuosi che, spesso, vanno anche oltre il dovere statuito legalmente. Esso si alimenta nella considerazione sociale. La medaglia è il pubblico riconoscimento che una comunità riserva a chi l’ha meritoriamente servita. La gratifica economica non va oltre la sfera intersoggettiva: è un corrispettivo attribuito a una prestazione eccezionale da parte di chi ne ha tratto vantaggio.
 
La medaglia, invece, viene conferita in cerimonie corali perché rappresenta l’omaggio che la collettività tributa a chi ha reso un servizio nell’interesse generale. La forza incentivante che continua ad avere, anche nella disincantata società del XXI secolo, il meccanismo degli onori meriterebbe la sua generale adozione nei settori che riconoscono il valore del merito e della condotta virtuosa. Penso, in primis, al settore della formazione, di ogni ordine e grado. Poco importa che il premio per il miglior studente porti alla memoria esperienze non edificanti della storia recente del nostro Paese. I giovani hanno bisogno di incentivi e, se si vuole una scuola di eccellenza, l’eccellenza deve essere pubblicamente riconosciuta. Serve a gratificare chi ha meritato e, aristotelicamente, a stimolare negli altri l’emulazione. Così nel mondo delle professioni.
 
L’esercizio di una professione richiede comportamenti virtuosi. I codici deontologici non bastano. Occorre andare oltre la logica punitiva. Oggi solo l’anzianità viene formalmente riconosciuta dal sistema ordinistico. Si tratta di un omaggio doveroso, ma privo di ricadute virtuose. L’istituzione di premi per i professionisti che, nella loro attività, hanno reso benefici (anche) alla collettività consentirebbe di riscoprire le finalità sociali della professione, offrendo esempi comportamentali che frenino la deriva mercantile che un demagogico richiamo ai modelli europei sta imponendo anche nel nostro Paese.
 
Economisti, come Luigino Bruni, hanno già indagato la validità del sistema premiale (L’Ethos del mercato). Peraltro, è un sistema che appartiene alla storia italiana. Fu teorizzato da Giacinto Dragonetti che, nel Settecento, diede alle stampe il libello Delle virtù e dei premi. Filosofi, come Kwame Anthony Appiah, hanno invece esplorato il ruolo dell’onore nella società occidentale e orientale, mostrandone i limiti ma anche la forza performante: può attivare comportamenti virtuosi, altrimenti non ottenibili legalmente (Il codice d’onore).
 
Valga per tutti l’esempio dei militari, il cui eroismo spesso non ha altra motivazione che il senso dell’onore proprio e della patria. Mi rendo conto che potrebbero essere considerazioni in-attuali. Ma anche il mondo delle imprese ha riscoperto l’importanza della credibilità sociale. “Etica & impresa”, “Impresa e cultura”, “Bilancio sociale”: sono tutti premi che promuovono il ruolo sociale delle imprese onorandole. Non hanno equivalenti nel sistema delle professioni intellettuali e in quello della formazione, scolastica e universitaria. Si potrebbe partire da qui. Perché promuovere comportamenti virtuosi forse non aumenta il Pil, ma migliora sicuramente il ben-essere delle persone.


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