C’è una domanda da farsi dopo la lettura degli stralci dell’ultimo libro di Gianluigi Nuzzi, “Sua Santità” (Chiarelettere), in cui sono contenute delle missive private inviate a Benedetto XVI o genericamente in appartamento papale. Ed è la domanda chiave del giornalista: perché? Perché carte riservate dell’appartamento papale sono passate integralmente ad un giornalista? Quale è il confine tra informazione e strumentalizzazione?
Perché se è pur vero che le carte raccontano di una realtà vaticana variegata, è anche vero che – a giudicare dalle anticipazioni, forse il libro fornirà altra opinione – non ci sono particolari notizie. Si parla di trame già vecchie, abbondantemente discettate sui quotidiani. Si sapeva che Dino Boffo riteneva che fosse stato il direttore dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian ad inviare all’allora diretto del Giornale Vittorio Feltri la velina sulla sua condanna per molestie e su una sua presunta omosessualità. L’amicizia tra il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti (di cui Gotti Tedeschi è stato consulente al ministero per i temi etici) era nota da tempo, e dunque perché deve sorprendere che Gotti Tedeschi chieda consiglio a Tremonti e poi giri una informativa al Papa? E nemmeno il profano si può dire troppo meravigliato che un pranzo privato con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e sua moglie Clio sia preparato nei dettagli dalla Segreteria di Stato, nella persona di Dominique Mamberti, il sottosegretario per i Rapporti sugli Stati, che invia a Benedetto XVI un memo sullo stato dell’arte della politica italiana e su cosa improntare la conversazione.
E allora resta la domanda del perché. Insieme ad un’altra questione, che riguarda la situazione interna alla Santa Sede. È gravissimo che delle carte private, delle carte che vanno sulla scrivania papale, vengano diffuse a mezzo stampa. Lo stesso Nuzzi parla di un gruppo di persone – e il Fatto Quotidiano oggi pubblica un fax di Dino Boffo che fa parte di una infornata diversa di documenti, quasi a rivendicare una “primogenitura del leak” – che vogliono ristabilire la verità. Ma quale verità? E per quale motivo? È un problema di conflitto tra Santa Sede e Cei, con il segretario di Stato sul banco degli impurtati? È un problema di conflitto interno alla stessa Santa Sede? Questo non è dato saperlo. Ma che si tratti del frutto di alcune beghe personali, inimicizie, giochi di poteri che poco hanno a che fare con la missione della Chiesa appare indubbio. E allora, viene da farsi un’altra domanda: chi ha “passato” (il termine inglese leak aiuta meglio a comprendere, però) le carte si rende conto del danno istituzionale che viene fatto alla Santa Sede? Si ha l’impressione – mutatis mutandis – del litigio tra parroci in un paese, in cui l’uno attacca l’altro a mezzo stampa, rompendo la comunione della Chiesa locale e soprattutto tradendo la fiducia della comunità ecclesiale.
Trasportando la questione su ben più alti livelli, quello che viene messo in discussione alla fin fine è proprio il peso istituzionale della Santa Sede. Si apre lo spazio per dare nuovo vigore ed aria alle campagne che vorrebbero la Santa Sede fuori dal concerto delle nazioni, trattata come una semplice Organizzazione Non Governativa. Si apre lo spazio per lasciare il Papa solo su una torre d’avorio, a scrivere libri e parlare di religione, senza però poter levare la sua voce in faccende considerate politiche o diplomatiche. Lasciando stare il fatto che quando il Papa parla in favore di profughi e rifugiati, rispecchiando il pensiero di quanti si dicono “dalla parte giusta”, allora va bene. Se parla di difesa della vita e famiglia, allora è contro la modernità.
Così, un conflitto interno che porta alla decisione gravissima di far pubblicare – con lo stile di un giallo, e lasciando spazio a diverse imprecisioni – una serie di carte dell’appartamento papale rischia di tramutarsi in qualcosa di ben più grande. Tutti a parlar bene del Papa e a parlar male della Curia. Ma attaccare la Curia, attaccare il segretario di Stato Bertone, significa anche attaccare Benedetto XVI, la sua rivoluzione tranquilla fatta di riforme interne e dialogo, la sua diplomazia che si fonda sulla verità più che sul parlamentare, che si fonda sul diritto più che su una fluttuante ragion di Stato.
Questa è la guerra sotterranea che si combatte dentro e fuori i Sacri Palazzi, e il giornalista che si presta a questa guerra deve sapere quali saranno le conseguenze. Intanto, il Papa appare sempre più solo. E le parole di San Paolo ai Galati – riprese dallo stesso pontefice in una lettera ai vescovi del 2009 – sempre più profetiche: “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”