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Falcone e Borsellino, venti anni dopo

Oggi ricorre il ventesimo anniversario della strage di Capaci. Non una commemorazione rituale, per un’Italia inquieta, svegliata nel bel mezzo di un incubo dalla bomba piazzata di fronte alla scuola dedicata a Francesca Morvillo Falcone. Un evento che si presta, proprio come la morte e gli ultimi anni di vita di Falcone, dall’attentato dell’Addaura in poi, a ogni tipo di analisi e dietrologia.
 
I commenti a caldo della politica – da Veltroni a Maroni – ce lo ricordano. Tra questi, alla luce i risultati di Parma, rientrano a tutti gli effetti quelli di Grillo. “Oggi, nel ventennale della strage di Capaci, a Brindisi era attesa una carovana anti-mafia proveniente da Roma. Coincidenze? Io ho smesso di crederci da tempo, da quando ho visto da bambino per la prima volta Andreotti in televisione”, scriveva sabato sul suo blog .
 
Anch’io mi lascio prendere dalle suggestioni. Il 12 maggio cadeva l’anniversario della morte di Giorgiana Masi. Uno dei tanti “reati senza colpevoli”. Un certo Francesco Cossiga – omonimo di quello che disse che Falcone lo aveva ucciso il CSM – andava dicendo di conoscere la verità su quella tragedia. Se fosse mera provocazione o meno, non ci sarà dato saperlo: se l’è portato nella tomba.
 
Qualche giorno fa wikipedia registrava la “notizia” della morte di Giulio Andreotti.
Passata ‘a nuttata, mentre si scatena la caccia al mostro e le suggestioni si dissolvono, non mi riesce ancora di abbandonarle. Ricordo la sera di qualche anno fa, quando uscii dalla sala dove proiettavano il film, bellissimo, di Paolo Sorrentino. Il giorno prima ne avevo visto un altro, “Gomorra”. Lì la camorra di Garrone risplende nella sua perversa vitalità, nella sua gioventù traviata ma desiderosa di bere alla vita – sia pure scaricando mitragliate nel nulla. Quella rappresentazione – a differenza forse del libro di Saviano – non abbatteva, ma stimolava, chiamava alla sfida.
 
“Il Divo”, invece, mi lasciò il sangue amaro. Com’è possibile – pensavo, penso – costruire un Paese sui segreti di Stato, sulla distonia completa tra la verità ufficiale e quella vissuta. Sulla palese accettazione di questo, che autorizza a ogni cattivo pensiero, che spinge alla rassegnazione, all’autoassoluzione di chi non prende parte o all’autismo terrorista.
 
Non si può vivere in un paese che continua a scrivere “Romanzi” su Piazza Fontana, dove l’opacità delle istituzioni consente a ogni gesto folle di assumere le tinte del complotto, e in cui bisogna aspettare un terremoto per provare un “sano” senso di fatalità (se non fosse che a far vittime sono capannoni “a norma” ).
 
Mi verrebbe allora, tornando alle suggestioni di questo anniversario, da augurare lunga vita al senatore Giulio Andreotti. Tutta la vita necessaria a raccontarci quello che sa, quello che non possiamo sapere se non da lui su quegli e sui nostri anni, su questo nostro Paese dalle mille, lunghe ombre. Pronti a credere a ogni sua parola, al riparo dalla suggestione. Purché ci aiuti, lui che può, a vivere questi tempi di angoscia con un tormento in meno, quello di vivere in un diversamente Stato, in cui ogni retro pensiero ha campo e i giovani, come me, come Melissa, non possono vivere.
 
Giacomo Gabbuti
Studente del Master of Science in Economics all´Università di Roma Tor Vergata, dopo la triennale in Economia Europea nella stessa università ed un Erasmus ad Istanbul. Ha collaborato con il progetto “Cultura dell´Integrità nella Pubblica Amministrazione” della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

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