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Il poker di Putin. Niente G8 e summit Nato

Un ponte d’oro lungo circa mille chilometri. Da Chicago, Illinois, a Camp David, Maryland. Progettato da un carpentiere d’eccezione, il presidente americano Barak Obama, per un ospite di tutto riguardo, il collega russo Vladimir Putin. Un cavalcavia non tutto rose e fiori però. Anzi con tante spine da ricordare la via crucis. Con i dossier internazionali al posto dei quattordici quadri.
 
Presidenziali Usa, vertice G8, summit Nato, crisi europea, scudo antimissili, guerra civile siriana, impasse in Afghanistan, nucleare iraniano. Tanti misteri gloriosi per i democratici americani che puntano di nuovo al paradiso della Casa Bianca. Poche strade maestre e tante vie traverse per sciogliere questi nodi. Strade meno impervie però se percorse insieme a Mosca. Da qui l’immagine suggestiva, come molte cose americane, del ponte d’oro. Che però non vedrà la luce.
 
Due no a due inviti
Per la prima volta Obama ospita il G-8, il vertice delle otto nazioni più industrializzate del mondo. Per la prima volta da 13 anni i capi di stato e di governo dei paesi Nato arrivano negli Usa per il vertice dell’alleanza. Originariamente i due eventi si dovevano svolgere a Chicago, città natale del presidente Usa e sede del quartier generale elettorale democratico. A inizio marzo però la Casa Bianca ha fatto sapere di avere spostato il G-8 nel ranch presidenziale di Camp David. Un trasloco improvviso e ufficialmente senza cause. In realtà queste esistono. Meno immaginifico del suo collega americano Putin aveva semplicemente fatto sapere che non avrebbe preso parte al vertice dell’Alleanza atlantica a Chicago. Troppe i punti di vista inconciliabili tra la superpotenza globale e l’ex nemico della guerra fredda. Pur di assicurarsi la presenza del leader russo Obama aveva spostato la sede G-8. Da qui la metafora del ponte d’oro. Prima tutti insieme a Camp David. Dopo ognuno per la sua strada.
 
Una giravolta insufficiente per Putin. Meglio restare in patria e concentrasi sulla formazione del governo. A Camp David ci andrà Dimitry Medvedev. Il primo ministro che secondo Costituzione avrebbe invece il compito di seguire passo passo la nascita del nuovo esecutivo. Un affronto per Obama che ha annunciato la propria diserzione al summit Asean di settembre. Il primo organizzato da Mosca. Risultato della somma di sgarbi? La tanto cercata, da Obama e Hillary Clinton, “ripartenza” dei rapporti russo-americani non ci sarà. In verità il “reset” Mosca-Washington era nato sotto cattivi auspici. Nel settembre 2009 il regalo, un pulsantino “premere per ricominciare”, fatto dal ministro degli esteri Usa al collega russo nascondeva una gaffe. Anche questa simbolica. La traduzione in russo della parola reset era sbagliata. Invece di nuovo inizio sul bottoncino era stato scritto “sovraccarico”. Una previsione più che un augurio.
 
Obama cerca sostegno su economia e Iran
Tanti infatti ora i “sovraccarichi” nei rapporti tra Mosca e Washington. Tra i principali lo scontro sullo scudo antimissilistico in Europa, le profonde differenze di vedute sui massacri commessi da Baschar al Assad in Siria, i rapporti ambivalenti con l’Iran di Ahmadineschad.
Anche se non sarà la politica estera e di sicurezza a decidere le sorti del presidente uscente, l’assenza di Putin è uno smacco per un Obama da settimane impegnato a rincorrere gli elettori meno conviti. Dalla vittoria repubblicana alle elezioni del 2010 il Congresso Usa si è trasformato in una specie di calvario per i democratici. Quasi nulli i margini di manovra di un dibattito dominato esclusivamente dall’economia.
 
La congiuntura zoppica, il mercato del lavoro traballa. Il portavoce repubblicano alla Camera dei rappresentanti, John Boehner, è un pugile che colpisce sempre gli stessi punti: buco di bilancio e debito. Sulle posizione di Boehner al prossimo G-8 ci saranno altri tre pesi massimi globali: Canada, Germania e Gran Bretagna. Troppo poco per Obama l’appoggio del neo presidente francese Hollande. Sperava in Putin. Invece per la prima volta un presidente in carica resterà lontano dall’annuale vertice G-8. Anche questo un record.
 
Due giorni dopo la fine del vertice di Chicago in Iraq partirà l’ennesimo round delle trattative sul nucleare iraniano. Obama intende utilizzare i risultati dei due summit americani per rafforzare le sanzioni verso Teheran. Per piegare l’Iran alla soluzione voluta dalla comunità internazionale il presidente Usa ha bisogno di unità interna e alleati esterni. Tra questi non ci sarà Vladimir Putin. Il neo presidente non ha mai avuto intenzione di consacrare la prima visita estera del suo terzo mandato agli Usa. Come sempre meglio la Cina e l’Unione euroasiatica con Bielorussia e Kazakhstan. Appena eletto il vecchio-nuovo capo dello stato russo si è affrettato a telefonare a Mahmoud Ahmadinejad per assicurargli il sostegno e la cooperazione del Cremlino. Quale sarà la prossima mossa?


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