Riecco la crisi dell’euro. O siamo di fronte all’euro in crisi? Sta di fatto che per una volta non sono stati i mercati cattivi a far crescere il nervosismo continentale ma gli elettori arrabbiati. La dura realtà. Spazzate via di colpo le costruzioni artificiali dei salvatori della moneta unica, i travagli europei riprendono sembianze umane. Il voto è un avvertimento. Una sveglia utile perché squilla in tempo. I cittadini europei hanno rimesso in discussione tutte le decisioni “obbligate” dimostrando che in democrazia le scelte non sono mai “costrette” ma debbono prevedere sempre delle alternative. In un mese il banco è salto in Francia, Grecia e Slovacchia. Tra poco toccherà all’Olanda. In Germania la coalizione nero-gialla arranca.
Ovviamente la moneta unica potrà dimostrare di essere un vero progetto solo se non crollerà di fronte a quel misto di emozioni, irrazionalità e pie illusioni che è oggi la politica europea. Ma la politica è anche questo. Anzi a volte deve abbandonare ogni aplomb di razionalismo weberiano e diventare una caravella capace di battere la tempesta. Con meno burocrati, meno pirati e più piloti in grado di guidare a vista. Con ingegno. Meno “matematiche dimostrazioni”e più “sensate esperienze”. È il dna dell’umanesimo, un’arte nel quale il nostro paese dovrebbe tornare a essere maestro.
Senza passare dalla “prova del fuoco” non sopravvive nessun progetto. In politica come nella vita. Solo gli ingenui potevano pensare che un disegno tanto rivoluzionario come la costruzione europea poteva affermarsi senza reazioni di rigetto. L’impasse attuale, non solo monetaria, è uno di questi. Quanta autodeterminazione nazionale sopporta l’euro? Quanta ne pretende?
L’unione monetaria è stata interpretata come una manna dai paesi che hanno utilizzato tassi d’interessi incredibilmente bassi, a lungo nessuna differenza tra Grecia e Finlandia, non per abbattere i debiti e risanare le economie ma per concedersi altri crediti con cui finanziare crescite al di sopra delle proprie possibilità. Questo giudizio è maggioritario in Germania. Il vecchio continente è ora di fronte al bivio. Da una parte il patto fiscale per arrivare al governo economico. Dall’altra le tentazioni della crescita pompata. Due strade che se prese in maniera rigida e “senza alternative”, farebbero ambedue venir meno la legittimità democratica dell’euro.
A quel punto non basterebbe scaricare le proprie responsabilità sul populismo. Veri finlandesi, Democratici svedesi, Partito della libertà olandese, Fronte nazionale francese, Lega nord italiana, Chryssi Avghi in Grecia. Queste le sigle dell’irresponsabilità europea. Sintomi però non cause del malessere europeo. Non è solo il governo greco a ripetere che non mancherebbero i soldi per salvare Atene. Anche Angela Merkel ha utilizzato le questioni continentali per propri scopi interni. Ora tocca a François Hollande dimostrare di avere la forza per mantenere le promesse elettorali.
La crisi dell’euro è sostanzialmente la crisi della perdita di fiducia nella volontà e la capacità dei paesi membri di far fronte alle condizioni poste dall’unione monetaria. Affinché la moneta unica non diventi un esperimento mal riuscito. Per dare nuove basi finanziare agli stati e riformarli in maniera strutturale occorrono politici rispettati e prestigiosi e politiche che guardino al domani. Gli elettori hanno certo meno problemi. Basta continuare a credere sia possibile accollare alle generazioni future il peso di finanze e politiche economiche irrealistiche. Ma quanto potrà durare?