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Russia, Borsa col fiato sospeso in attesa delle riforme

Cosa succede alla finanza di un paese quando le insicurezze legate alla bassa crescita mondiale si sommano ai problemi tipici della propria struttura economica? Cosa avviene poi quando lo stesso paese è dipendente da poche voci che rappresentano gran parte di entrate fiscali, esportazioni e PIL? Normalmente queste difficoltà si riflettono in borsa. Esattamente quanto sta avvenendo in Russia.Non solo crisi dell´euro e bassa crescita europea
Da qualche settimana il mercato azionario federale segna rosso. Da metà marzo l’indice Micex, il più importante della Borsa di Mosca dove sono rappresentati i 30 titoli più importanti, ha perso il 21 percento. Ancora peggiori i dati dell’altro mercato dei titoli della capitale. Il quotato in dollari Rts ha avuto ribassi pari al 25 percento. Meglio è andato all’indice Msci-Emerging Market che rispetto ai due barometri precedenti è scivolato “solo” del 14 percento. I portafogli si trovano dunque in pieno periodo orso, cosi almeno definisce il gergo le borse in discesa. Tra gli investitori si va facendo strada la sgradevole certezza che gran parte dei guadagni degli ultimi mesi verranno lasciati per strada.
Non solo però crisi dell’euro e deboli prospettive di crescita del vecchio continente alla base di quanto sta avvenendo a Mosca. Alti e bassi finanziari russi sono causati anche dal carosello dei prezzi delle materie prime. Dall’inizio di marzo il prezzo del petrolio federale tipo Ural, strettamente correlato a quello del brent, è stato ritoccato al ribasso per il 15 percento. Nello stesso periodo le azioni Gazprom hanno perso 24 punti percentuali, mentre quelle Rosneft, l’azienda petrolifera controllata dallo stato, sono scese di 10 punti. Uno “sconto” del 15 percento hanno subito anche i titoli Lukoil, la più grande azienda privata produttrice di oro nero.
 
Il cantiere riformatore non parte
Pochi dati per capire l’importanza delle materie prime e dei rapporti commerciali con l’Europa. Due terzi delle esportazioni del paese consistono di gas e petrolio. ll prezzo del primo è legato a quello del secondo. Le esportazioni costituiscono il 28 percento del risultato economico complessivo della Russia e l’Europa è il principale mercato di export per le materie prime del paese. Oltre a ciò gli analisti non vedono avvicinarsi il piano riforme in grado di modificare lo status-quo del paese. Lo scambio di poltrone tra Medvedev e Putin fa invece credere che il tempo dell’immobilismo non sia ancora finito. Le lungaggini contro cui è cozzata la formazione del nuovo governo ne sono una prova. Inoltre l’inevitabilità di rivedere il sistema pensionistico, l’attesa ondata di privatizzazioni, e la volontà dell’esecutivo di rendere il sistema economico più efficiente e competitivo potrebbero indebolire l’attuale buon livello, 70 percento del Pil, della domanda interna. Ovvia dunque la crescente attenzione con cui gli investitori esaminano le dichiarazioni della leadership russa e gli avvicendamenti, a volte solo annunciati, interni alle elite politico-finanziarie federali. Una insicurezza forse eccessiva che nemmeno il livello della crescita economica – 4,9 percento in più nel primo trimestre dell’anno in corso rispetto allo stesso periodo del 2011 – riesce a calmare.
 
Il mercato azionario russo risente direttamente delle oscillazioni legate alle materie prime nazionali. Per questi motivi oggi la componente psicologica del rischio percepito dagli investitori è maggiore rispetto al passato. Al crescere delle preoccupazioni aumenta il flusso dei capitali che abbandonano la Russia. Secondo il ministero dell’economia a marzo sono usciti dal paese tredici miliardi di dollari. Otto ad aprile. Una delusione per gli esperti di Alfa Bank che visto il lento aumento delle importazioni davano per scontato un saldo meno negativo nella bilancia dei capitali. Al contrario dall’inizio dell’anno 42 miliardi di dollari hanno varcato le frontiere del paese. Più della metà del volume totali dei capitali esportati dagli investitori durante il 2011.
 
Nei giorni scorsi questo scenario ha colpito anche le azioni di Sberbank, la maggiore banca russa. Titoli che fino a poco tempo prima avevano raggiunto il maggior livello dal 2009. La banca che sfruttando la propria posizione dominate nel mercato dei clienti privati nel primo quadrimestre 2011 aveva goduto di una crescita degli utili netti del 15 percento, in euro circa 3,3 miliardi, sta ora diventando il simbolo delle difficoltà finanziarie di Mosca. Sberbank è controllata per il 58 percento dalla Banca d’emissione russa, mentre il 20 percento è nelle mani degli investitori stranieri. Secondo quanto pubblicato da Troika Dialog, uno dei maggiori istituti d’investimento del paese, per gli investitori privati i titoli rappresentano l’unica possibilità di partecipazione nel settore bancario federale in fase di privatizzazione parziale. Piano che riguarda anche Sberbank. Una road map che prevedeva la dismissione entro l’autunno del 7 percento delle quote della prima banca russa. Un obbiettivo raggiunto finora solo a parole.


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