Skip to main content

Se questo è il calcio

“C’era da aspettarselo”. Da qualche giorno questa frase la si può sentire o leggere ovunque. Si parla di calcio ma potrebbe essere altro. Il nuovo capitolo del calcio scommesse era nell’aria e non sorprende nessuno. La vita non è mai una scienza esatta eppure a volte i conti tornano. E spesso non sono simpatici. Ma su questo non c’è nulla da fare. È il vecchio vizio della realtà. Se non la affronti tu lo fa lei. Non solo politica, anche economia e società portano le stimmate della concretezza.Prendi l’Italia. Vecchie idee, vecchie abitudini, vecchi errori, che tutti conoscono e vogliono abbattere. Ma che al contrario conserviamo gelosamente. Prendi gli italiani. La popolazione non cresce, non crea, non rischia. Economia e lavoro sono paralizzate da regole anacronistiche. Ne restiamo però aggrappati negando la realtà, perché temiamo i cambiamenti che mettono in discussione gli antichi privilegi.
Prendi il calcio. “Il calcio non è colpire una palla, è lottare” e se per dirlo si è scomodato uno scrittore del calibro di George Orwell, una ragione ci sarà. Lotta? In genere con questa parola non si intendono rivolgimenti copernicani, rivoluzioni. Vuol dire molto più banalmente studiare, impegnarsi, prepararsi. Aprire gli occhi sulle possibilità che esistono dentro e fuori i nostri confini. Farsi oculatamente i conti per capire cosa ci si può permettere e cosa no. Nulla di tutto questo sembra riguardare il calcio. Secondo quanto scrive il Sole 24 Ore le perdite del mondo del pallone sono ormai un fatto ordinario. Solo nell’annata 2010-2011 il rosso è stato pari a 428 milioni di euro. Probabilmente superiori a quello delle annate precedenti e minori di quelle future. Non proprio un esempio per il “buon padre di famiglia”.Del resto nel calcio, come nel paese, sono scarsi gli occhi che guardano lontano. Poche le menti che cercano il futuro collettivo invece della propria carriera personale. Nulla di strano allora se dopo anni in cui lo scandalo delle partite comprate e vendute era una coppa che spettava soprattutto ai dirigenti, ora sia la volta dei calciatori. Mezza serie A è in carcere. La polizia è arrivata a Coverciano. Ci sono gli zingari e anche gli ungheresi. Girano mazzette. Lo dice il gip Salvini ma lo pensano tutti. Quello che sta avvenendo nel calcio “non è meno grave di quanto avviene nel campo politico”. E dopo undici mesi di indagini il magistrato saprà quello che dice. Solo per Lecce-Lazio sono 2 milioni gli euro guadagnati, 600mila quelli andati ai calciatori. Per una sola partita.Che dire? Il calcio non è né il toccasana del mondo, né la sua malattia mortale. È uno specchio. Sempre splendente in superficie, qualche volta opaco sotto. Ampio e preciso nei riflessi. Gioia ma anche squallore. Anche oggi è cosi. Il copione è conosciuto ma meraviglia sempre. Tanti soldi per chi ne guadagna già molti. Star in carcere. Ai tanti che si pentono, dopo, si contrappongono quelli, pochi, che non hanno mai accettato le regole, sporche, del gioco. Il calcio è un pallone sempre più sgonfio. Come ripartire? Rafforzare i settori giovanili, ristrutturare gli stadi, investire sulle capacità degli uomini, ammodernare le strutture. Sembra una delle tante chiacchiere di economia. In verità una sola cosa è indispensabile: la capacità di pensare il futuro. Perché in fondo il calcio è politica.

×

Iscriviti alla newsletter