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Usa, è ufficiale: sarà Romney contro Obama. Una guerra ideale

Ultime formalità sbrigate per Mitt Romney. Alle primarie repubblicane di martedì in Texas il repubblicano ha ricevuto i voti che gli mancavano. A meno di clamorosi ribaltamenti, alla nomination di agosto la maggioranza dei delegati del Greaty Old Party lo consacrerà candidato presidenziale. Una vittoria scontata. Che l’ex governatore del Massachusetts a novembre avrebbe sfidato Obama era chiaro a tutti da tempo. Anche al presidente in carica. Obama ormai cura più raccolta dei fondi e campagna elettorale che governo. La Casa Bianca è orfana del proprio leader. A Washington è iniziato uno di quei momenti quando nelle stanze del potere si vedono tanti turisti. Il padrone di casa preferisce usare i vertici internazionali, G-8, Nato, come palcoscenico della propria rielezione. Diventata di colpo meno certa. Difficoltà democratiche
Il cosmopolitismo di Barack Obama contrasta con l’altro luogo simbolo della campagna americana. Salt Lake City. Anche nella capitale dello Utah le visite si susseguono. Non si tratta però di turisti. Sono i giornalisti a ronzare attorno al quartier generale della chiesa Mormone. I media mondiali cercano di capire quanto la fede nella confessione cristiana fondata nel 1842 da Joseph Smith influenzerà le scelte del possibile, futuro, presidente Usa. Perché una cosa è certa. Questa volta la scelta tra i candidati sarà netta.
Il presidente uscente è con le spalle al muro. L’economia americana avanza a singhiozzo. Indebitamento e deficit crescono al punto da essere visti come una minaccia alla sicurezza nazionale. La quota dei senza lavoro è ufficialmente oltre l’otto percento. Le cifre non tengono conto dei milioni di americani che rassegnati, hanno smesso di cercare una nuova occupazione. Per pacchetti congiunturali e manovre fiscali al Congresso non c’è maggioranza. Nella politica estera e di sicurezza Obama può certo vantare la morte di Bin Laden, la fine del conflitto iracheno e il prossimo ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Però l’annunciato avvento della leadership globale Usa grazie a diplomazia e soft power è lontana. In Medio oriente, Europa e Pacifico nemici e avversari non diventano di colpo alleati. Non tutti sono convinti dal premio Nobel che da un lato porge la mano mentre dall’altro appalta la guerra ai droni, gli aerei senza piloti con cui Washington sta infliggendo seri colpi al terrorismo internazionale.Meno sogni rispetto a quattro anni faA differenza di quattro anni fa oggi le parole d’ordine democratiche non sono ne speranza, né trasformazione. “Yes we can” è tornato nel cassetto dei sogni sostituito da un più prosaico, avanti, che ricorda tanto gli obiettivi socialdemocratici tedeschi. Più tasse per i ricchi, pari opportunità per tutti, ognuno concorra equamente al bene comune. Per Obama, Romney non è lo statista di cui l’America ha bisogno. Lo sfidante repubblicano, uomo d’affari, non sarà in grado di mettere in primo piano il bene della collettività. Alle presidenziali del 6 novembre è invece in gioco il destino della nazione. E per quanto riguarda le linee direttive di economia e politica estera i due candidati hanno poco in comune.
Romney e i repubblicani vogliono meno tasse, meno presenza statale e diminuzione della spesa pubblica. Solo cosi con più mercato e concorrenza si possono creare i posti di lavoro necessari alla ripresa. La montagna del debito va abbattuta col risparmio e non aumentando le tasse. Nella riforma sanitaria del presidente, in attesa del giudizio di giugno della Corte suprema, l’elefante vi vede solo il furore dell’intervento statale sulla vita dei cittadini. Se Obama si è detto favorevole ai matrimoni gay, Romney ritiene che solo uomini e donne di sesso diverso possano sposarsi godendo della protezione statale. Nella politica estera e di sicurezza il candidato repubblicano,condividendo le stesse posizioni di George Bush, rimprovera al democratico i tagli alle forze armate che alla fine metteranno in discussione il ruolo di potenza mondiale Usa.
 
Due mondi a confronto
Obama e i democratici ritengono invece le ricette liberali dei repubblicani la vera causa dell’attuale crisi economica e del debito. La riforma sanitaria del presidente è vista come la messa in opera del criterio della giustizia sociale. Ai propri avversari il partito dell’asinello rinfaccia una campagna anti femminista mascherata da protezione della vita dei non nati. Lo stesso Obama ha legittimato una campagna basata sul fatto che negli anni ’90, il repubblicano era un manager attivo nel settore degli Hedgefonds.
I repubblicani ritengono Obama un vero attivista della sinistra di formato europeo che vuole mettere ko la cultura concorrenziale americana sostituendola con l’egualitarismo finanziato dallo stato. Una strada che secondo il Gop non potrà che terminare con una America indebolita e afflitta dalle stesse malattie che flagellano il vecchio continente. Il partito dell’asinello rappresenta invece Romney come una cavalletta capitalista che introdurrà negli Usa un gelo sociale dove non ci sarà spazio per la giustizia. Per ora si confrontano due schiere di fedeli che ritengono di avere ognuna al proprio fianco la verità. Ma alla fine saranno gli elettori a sciogliere i nodi.
 
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