Di seguito due interessanti articoli sul “pacchetto merito” della riforma della scuola e dell’università, messa a punto dal ministro Alessandro Profumo.
La scuola tecnocratica: pochi alunni eccellenti in un branco di asini (di Giorgio Israel)
I l «pacchetto merito» del ministro dell’Istruzione Alessandro Profumo solleva roventi polemiche. Vi sono tanti motivi per criticare questo progetto, per la sua ideologia tecnocratica che estende il metodo dei quiz. È un’ideologia che mette le persone in secondo piano, perché le persone danno giudizi «soggettivi» e «arbitrari», e vuole trattare il sistema come una catena di produzione di merci di cui occorre controllare i requisiti di qualità secondo criteri «oggettivi»; come se i test di valutazione non fossero formulati da persone che forniscono prove quotidiane del carattere arbitrario delle loro scelte. Si dovrebbe anche criticare l’intento di introdurre questa concezione nell’università, riducendo i concorsi universitari al calcolo di chi supera la «mediana» delle citazioni, un criterio sballato e arbitrario, che scambia la standardizzazione per oggettività.
Invece di fare queste critiche si prende di mira solo l’intento «meritocratico» del progetto secondo cui ogni scuola deve premiare lo «studente dell’anno». Le critiche più aspre vengono da sinistra. Si parla di propositi «orrendamente premiali», di «determinismo culturale e sociale» e si ammonisce che l’unico modo di incoraggiare il merito è perseguire l’equità. Non si dice che il «determinismo sociale» (diciamo pure la demagogia) si trova proprio nelle bozze circolanti del progetto quando si dice che, per individuare lo «studente dell’anno», occorre tener conto anche della condizione economica della famiglia e del suo «impegno sociale» (sic).
Anche a noi non piace affatto l’idea di premiare un solo studente per scuola, e non solo perché ciò metterà in moto meccanismi tutt’altro che trasparenti, ma perché così non si premia il merito: si premia l’eccellenza, che è tutt’altra cosa, anzi è il suo esatto contrario. L’idea generale di premiare i meritevoli – coloro che studiano e s’impegnano – e penalizzare la nullafacenza e l’incompetenza ci pare giusta. Non ci sembra per niente giusta l’idea di premiare l’eccellenza, il genietto eccezionale, uno solo per scuola. In sintesi: il premio all’eccellenza e il premio alla mediocrità sono le due facce della stessa medaglia.
Chi ripropone la vecchia ricetta dell’egualitarismo – il «diritto al successo formativo» – non si rende conto di essere il principale responsabile della degenerazione del premio al merito nel premio all’eccezione. È indubbio che la vecchia scuola non fosse disegnata per tutti e, sebbene non le mancasse la capacità di promuovere i figli di famiglie modeste e incolte, andasse riformata per diventare scuola di tutti. Ma invece di scegliere l’unica via corretta, se pur difficile, di costruire un modello di massa che, offrendo pari opportunità di partenza, stimolasse a migliorare indicando un riferimento verso l’alto – indicando come modello da imitare i migliori e non i peggiori o i mediocri – i pedagogisti e riformatori «progressisti» (si fa per dire) hanno scelto il modello della mediocrità, bene riassunto nella formula della «media minima» di Tullio De Mauro.
Ebbene, se si indica come obbiettivo la mediocrità e poi si constata che il risultato è che nessuno sa più leggere, scrivere e far di conto – e gli esperti scolastici «progressisti» sono i primi a stracciarsi le vesti per questo risultato nefasto! – quale via d’uscita resta, visto che comunque la società ha bisogno di «competenze»? Andare a caccia degli «eccellenti». È la linea che sta emergendo in tutti i paesi europei dove è stata scelta la linea sciagurata del premio alla mediocrità. Per un paradosso (apparente) sono gli egualitaristi, coloro che premiano la mediocrità e combattono il merito a favorire la ricerca e il premio dell’eccellenza. Non è quindi da stupirsi che l’egualitarismo abbia spianato la strada al trionfo di ciò che proclamava di voler distruggere: la «scuola di classe», la scuola delle élite che umilia la massa. Per questo è imperdonabile la cecità di chi continua a opporre alla valorizzazione del merito (non uso il termine «premio») l’ideologia della «media minima», il successo formativo «garantito», l’egualitarismo della mediocrità.
Se i «progressisti» continuano ad affondare nei loro nefasti errori, ciò non assolve affatto quelle componenti tutt’altro che marginali del centrodestra che non vedono la stretta relazione tra l’ideologia della mediocrità e quella dell’eccellenza e si schierano sull’altra faccia della medaglia e, per giunta, sostengono ciecamente i progetti tecnocratici di cui si diceva all’inizio.
Non vedono colpevolmente quel che denunciano tanti insegnanti.
E cioè che il ministero preme sugli uffici scolastici, che premono sui dirigenti, che premono sui docenti, per contenere le bocciature e mandare avanti tutti: un po’ per risparmiare, un po’ per ideologia. Così, nella cornice della retorica dell’eccellenza e della valutazione «oggettiva», si ripropone la dittatura della mediocrità (di cui è espressione il dilagare del metodo dei test) in un gioco di specchi che non fa che accelerare lo sfascio del sistema italiano dell’istruzione. (Il Giornale 5 giugno 2012 – via gisrael.blogspot.com)
Se la scuola pubblica decreta vincitori e vinti (di Nadia Urbinati)
La scuola pubblica non sembra capace di dare il meglio di sé se non viene assoggettata alla logica economica della competizione per il guadagno. Questa sembra la filosofia che ispira il “pacchetto merito” proposto in questi giorni dal ministro Profumo e che ha provocato molte reazioni critiche. L´obiettivo di questa filosofia della formazione come “corsa a ostacoli”, secondo l´espressione usata da Alberto Asor Rosa scrivendo su questo giornale, dovrebbe essere quello di fare della scuola un´impresa che premia il merito. La promozione, le gratificazioni morali, non sono abbastanza attraenti. Occorre un premio tangibile, e che sia individuale, che non ricompensi semplicemente la partecipazione all´impresa educativa.
Esponendo questo paradigma quantitativo di traduzione del merito, Asor Rosa motivava le sue forti perplessità e invitava ad aprire una riflessione sulla scuola pubblica, sul significato di merito e sul senso stesso della competizione nel processo formativo. L´invito dovrebbe essere accolto. Anche per avviare un esame critico di quel che è ormai diventato un paradigma dei governi italiani: mettere mano al riordino della scuola, con esiti spesso confusi, che tagliano risorse peggiorando la qualità del servizio, che provano a introdurre valutazioni di merito con regole che nel fare graduatorie di scuole, atenei e pubblicazioni, burocratizzano il giudizio sul merito invece di renderlo trasparente.
Anche questo governo, nonostante si sia presentato come un esecutivo di emergenza, sente di dover lasciare la propria impronta. Lo fa applicando alla scuola pubblica l´ottica del merito misurato e quantificato, seguendo il criterio economico di monetizzare il valore. Se lo scambio via mercato funziona come attribuzione equa di valore, perché non dovrebbe succedere lo stesso con le idee e i titoli di studio? Non è forse una via al giusto riconoscimento quello che insiste sull´incentivare i migliori dando loro un segno tangibile dei loro sforzi?
Tra le proposte contenute nel “pacchetto merito” vorrei soffermarmi in particolare su due tipi di incentivi: quello rivolto agli studenti (e per loro tramite agli istituti scolastici) e quello rivolto alle imprese. Nel primo caso, si propongono sgravi fiscali e un premio in denaro al migliore alunno dell´intero istituto. La proposta sembra ragionevole e sinceramente votata al bene della scuola. Tuttavia occorre essere almeno un poco scettici perché questa proposta introduce un fattore che è molto preoccupante anche ai fini di rendere la scuola più capace di selezionare il merito. Infatti il compito di una buona scuola pubblica dovrebbe essere prima di tutto quello di portare intere classi di studenti alla fine dell´anno scolastico con successo e il minor numero possibile di abbandoni.
Sembra però che questo obiettivo non valga gran che e non sia molto apprezzato se si propone di introdurre un diverso segno tangibile del successo degli istituti scolatici: quantificando cioè il risultato del lavoro collettivo di un anno (e di vari anni) con il premio a uno, al migliore. Arrivare al traguardo come in una gara sportiva significa concentrare tutte le energie a far salire sul podio il primo, trascurando se necessario tutti gli altri o la maggioranza degli studenti che, ovviamente, devono restare indietro (non tutti possono né devono salire sul podio). Ma una scuola che è votata al “primo” è una scuola che rischia di essere votata alla mediocrità, non al merito, perché spronata non a formare molti studenti ma a blasonarsi con il nome di un vincitore.
Circa il secondo tipo di incentivi, quello che propone sgravi fiscali alle aziende che assumono i più bravi, esso lascia a dir poco perplessi perché contiene una contraddizione che non può non saltare agli occhi quando si ragioni di incentivi e convenienza. Infatti, perché premiare chi è naturalmente incentivato – per ragioni di convenienza – ad assumere i migliori tra coloro che rientrano nei profili richiesti? Non è un sufficiente incentivo quello dell´interesse – ovvero che un´azienda cerchi il meglio per sé, poiché qui sta la condizione essenziale per essere più competitiva sul mercato? Che senso ha premiare ciò che è già nell´interesse dell´attore a fare?
La scuola, quella pubblica in primo luogo perché scuola dalla quale devono uscire non solo buoni professionisti, ma anche cittadini competenti e con senso civico, dovrebbe avere come prima vocazione quella di neutralizzare il più possibile fattori esterni al valore individuale, cioè portare ragazzi di ogni classe sociale e con diversi punti di partenza culturali ad amare la conoscenza, a scoprire la propria vocazione, ad apprendere a formulare giudizi per poter scegliere con cognizione di causa e responsabilità. La gara scolastica dovrebbe essere quella che porta i migliori a cooperare per elevare tutti i compagni. Una competizione al meglio perché più l´ambiente è ricco di stimoli per tutti più numerosi saranno i talenti che emergono. La gara non è quindi ad esclusione, soprattutto quando la scuola è scuola pubblica di formazione, che prepara all´università e alla vita. Premiare il primo dell´istituto può significare invitare dirigenti e insegnanti a distogliere lo sguardo dal meglio per tutti gli allievi in generale per concentrarlo su chi dovrà tagliare il traguardo.
Una scuola che lascia a terra chi non arriva primo, che decreta “vincitori” e “sconfitti” è quanto di più distante dalla filosofia della scuola pubblica di una società democratica. Per citare Asor Rosa, la lena a “titar su” classi intere di alunni è lo sforzo collettivo che più dovrebbe essere premiato nella scuola pubblica, il cui obiettivo è quello di arricchire la società di un numero alto di potenziali “migliori”.
(Repubblica 6 giugno 2012 – via micromegaonline)