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L’Europa politica che non c’è

Vertici, mezzivertici, verticelli si susseguono come fossero destinati a compiere l’ultimo miglio: e dopo farci tutti risorgere in nome di una tecnicalità invero inconcludente. Non si riesce a capire se i partecipanti a questi summit a raffica ci sono o ci fanno. Le frasi di circostanza con cui si concludono gli incontri sono sconcertanti. Neppure si preoccupano di coprire evidenti contraddizioni e omissioni.
 
Questi vertici, poi, servono a parlare solo di una crisi economica nata negli Stati Uniti, sviluppatasi in tutto il mondo non protezionistico, insediatasi nell’Europa centromeridionale quasi fosse una metastasi inarrestabile.
Diciamoci la verità. Qui non si tratta di essere euroscettici o europeisti di tipo talebano, ma solo di ammettere che, da un quindicennio abbondante, si sta discutendo di una Europa monetaria, fondata non tanto sull’euro quanto sul comitato di gestione dei parametri econometrici più o meno convenienti per chi li domina.
 
Di Europa politica non si parla più. Perché in effetti non c’è. Se mai c’è veramente stata. Lo spirito europeista originario (quello di Adenauer, De Gasperi e Schumann, con l’aggiunta del partnerariato spinelliano) non si è mai affermato: a causa del compromesso radical-massonico e comunista in Francia nell’estate 1954.
L’Europa politica immaginata doveva sanzionare la chiusura di secolari contrapposizioni tra Germania e Francia (non esclusa l’Inghilterra) regolarmente degenerate in tragici conflitti militari. Si voleva un’Europa politica fomite di pace, immaginando che una pacificazione del vecchio continente riuscisse a tenere in equilibrio emergenze politiche ed economiche insorte negli emisferi orientali e meridionali.
 
Allora non si pensava a un’Europa monetaria affidata a un trust di banchieri. Si ritenevano sufficienti le intese doganali, i commerci semplificati, il rispetto delle caratteristiche culturali delle varie nazionalità al fine di convenire, nel consenso, in un’Europa sovranazionale non livellatrice, ma sensibile alle diversità unite da comuni obiettivi di equilibrio mondiale senza guerre: possibilmente, neppure regionali.
 
E, invece, siamo ad un’Europa piccola piccola (da grande, tollerante, dall’Adriatico agli Urali, come doveva essere). E a gestire la politica economica dell’Europa centromeridionale è quella Germania responsabile dei due ultimi conflitti mondiali e che spaccò il mondo verticalmente per tenersi la Ruhr e, con essa, il più grosso potenziale d’acciaio, l’equivalente dell’odierno monetarismo discriminatorio.
Le sanno, queste cose, i professori italiani e, soprattutto, i manager di Parigi e di Francoforte che stanno colonizzando l’Europa delle idee e della creatività umanistica?

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