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La bassa marea che non guasta

In pochi mesi gli italiani che si definiscono “moderati” si sono ridotti di oltre il 10%: oggi rappresentano il 33%. Moderato è un modo di essere e di partecipare alla vita politica, e dunque non può essere considerato come un monolite a cui far riferimento. Si tratta di una categoria liquida e in continuo divenire, legata alle condizioni del Paese. I venti economici europei (e anche italiani) non soffiano a favore di questo blocco. Ma una élite che saprà dare loro una progettualità non occasionale ma ragionata, una “dimensione di carnalità politica”, definizione felice di Giuseppe De Rita, risulterà una scommessa vincente in grado di trascinare la ripresa e l’entusiasmo del nostro Paese
 
Sono tempi duri per i moderati in giro per l’Europa. I risultati elettorali degli ultimi mesi nel Vecchio continente hanno infatti portato in auge rappresentanti di proposte politiche alternative alla pacificazione nazionale, e in alcuni casi estremiste. La crisi economica e la disgregazione sociale stanno provocando un fenomeno particolare, non nuovo nella storia. E cioè la curvatura del tradizionale asse orizzontale destra-sinistra, che prende poco a poco le sembianze di una circonferenza. Avvicinando i due poli più lontani e cementando difensivamente il blocco sociale e politico centrale, proprio quello dei moderati. Ne sono testimonianza, ad esempio, il successo di Marine Le Pen e quello di Melenchon in Francia (insieme hanno sfiorato il 30%, provocando una perdita secca di 10 punti dei tre candidati “moderati” – Sarkozy, Bayrou e Royal/Hollande – rispetto a cinque anni fa) e il crollo dei partiti del rigore e la contemporanea avanzata dei neonazisti e dell’estrema sinistra in Grecia. E in Italia? Questo processo è già in fase avanzata.
 
La scelta qualche mese fa da parte del presidente della Repubblica di promuovere un governo di unità nazionale ha permesso l’avvicinamento dei due contenitori polarizzanti (Pdl e Pd). E l’assenza di una reale opposizione, tra le ambiguità di Idv e Sel e i problemi con la magistratura della Lega nord, hanno contribuito all’exploit alle ultime comunali del Movimento 5 stelle, unica tra le proposte politiche a segnare una distanza dai partiti del cosiddetto establishment. L’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti, dopo un iniziale bagno di popolarità, sta cominciando a soffrire i mal di pancia degli italiani che, dopo i sacrifici a scatola chiusa, non vedono la luce in fondo al tunnel della depressione economica del Paese. Il cantiere dei moderati, da più parti invocato nelle ultime settimane, non parte dunque con i migliori auspici. Lo stesso Pierferdinando Casini ha parlato di “macerie” che hanno ricoperto i moderati. Oltre alle considerazioni di carattere generale, vediamo nel dettaglio il perché.
 
Nel numero di Formiche dello scorso settembre (governo Berlusconi, spread in crescita ma ancora sotto controllo) avevamo fotografato i moderati italiani, identificandoli con il 44% della popolazione italiana. Un blocco enorme e per forza di cose eterogeneo.
In pochi mesi (governo Monti, recessione e spread alle stelle e dunque da gestire) gli italiani che si definiscono “moderati” si sono ridotti di oltre 10 punti percentuali: oggi rappresentano il 33%. Questo ci porta a una prima e fondamentale considerazione, che conferma le indicazioni di allora: moderato è un modo di essere e di partecipare alla vita politica, e dunque non può essere considerato come un monolite a cui far riferimento. Si tratta bensì di una categoria liquida e in continuo divenire, legata alle condizioni del Paese.
 
In una fase di profonda difficoltà del tessuto socio-economico italiano e di rimescolamento dell’offerta politica, una parte di quei moderati si è allora sganciata da questa etichetta, dichiarandosi più affine ad altre auto-definizioni politiche (ambientalismo e sinistra democratica, ad esempio) e, fattore da non sottovalutare, incrementando il bacino di chi non sente alcuna auto-collocazione politica (da 18 a 23%). I “non moderati” (67% degli italiani, due su tre), categoria in crescita, sono i più insoddisfatti non solo del proprio reddito e del lavoro, ma anche del posto dove vivono, delle proprie condizioni di salute e del rapporto con il proprio partner. Salvano invece la famiglia e gli amici, cioè i prossimali, che rappresentano l’ultima ancora di felicità. Le tensioni della vita pubblica si ripercuotono dunque inevitabilmente anche nella sfera privata. E nei sogni: sono quelli che hanno meno fiducia nel futuro. La moderazione (o la sua assenza) è un riflesso di queste condizioni?
 
Alla luce di questo scenario, e a meno di un anno dal voto politico, che cosa potrà succedere? Gli italiani, che credono ancora nel primato della politica e (a torto o a ragione) le attribuiscono molte responsabilità della difficile situazione attuale, sono alla finestra e attendono nuove proposte. In tutti i sondaggi la quota di astensionisti e indecisi è a livelli record, e quasi la metà degli italiani (trend in crescita) prenderebbe oggi in considerazione l’idea di votare un nuovo partito o movimento. Meno di un italiano su tre è infatti soddisfatto dell’attuale offerta politica, di qualunque colore: assegna cioè una preferenza ai partiti già esistenti e rifiuterebbe l’idea di considerare nuovi movimenti. Si tratta di una quota esigua, che lascia ampio margine a chi, dotato di visione e proposte concrete, si presenti credibilmente nei prossimi mesi.
 
Un altro terzo del Paese, invece, dà un’indicazione di voto agli attuali partiti, ma prenderebbe in considerazione nuovi movimenti politici. Porta con sé un’alta propensione al nuovo e rappresenta la quota dei delusi, che in mancanza di una offerta politica adeguata, potrebbe astenersi alle prossime elezioni facendo crollare l’affluenza. Questo quadro, per chi si candida a rappresentare i moderati, è da analizzare con grande attenzione.
 
I moderati, nella mappa presentata, si situano prevalentemente tra i “soddisfatti” dell’attuale offerta e i “primatisti della politica”. Ma in nessuna delle sei categorie rappresentano la maggioranza. Siamo allora di fronte a una sorta di diaspora, che rende particolarmente difficile una riunificazione sotto un unico cartello. Riducendosi però di dimensioni (dal 44% al 33% degli italiani) hanno ritrovato una certa omogeneità socio-demografica che prima mancava. Ad abbandonare (temporaneamente?) l’insegna dei moderati, in questi mesi, sono stati i più giovani e i più anziani, coloro che stanno soffrendo di più l’attuale condizione economica. Che ha allora provocato la riduzione in questo gruppo delle quote relative ai “moderati di destra” e “di centro”, spiazzati anche dalle trasformazioni dei soggetti politici di proprio riferimento ancora alle prese con una quadratura del cerchio.
 
I moderati oggi sono accomunati dall’età (fascia attiva 25-54 anni), dalla residenza (centro-sud in paesi e città di medio-piccole dimensioni), dallo stato civile (coppie con figli e senza, dunque famiglie). I microgruppi sociali, cioè, dove si concentra la ricchezza (calante) del nostro Paese. I venti economici europei (e anche italiani) non soffiano a favore di questo blocco. Ma una élite che saprà dare loro una progettualità non occasionale ma ragionata, una “dimensione di carnalità politica”, definizione felice di Giuseppe De Rita, risulterà una scommessa vincente in grado di trascinare la ripresa e l’entusiasmo del nostro Paese.

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