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Ma non sia un ritorno al passato

Moderati? E sia. Ma purché qualcuno ci spieghi che cosa significa oggi definirsi in tal modo a fronte di una situazione politico-sociale continentale che certo “moderata”, nel senso di ragionevole e normale, non è. Se la prospettiva di chi ha in mente la costruzione di un Centro per squassare il pur non brillante sistema bipolare è quello di raccogliere sotto un tetto virtuale quanti si sentono a disagio nel centrodestra e nel centrosinistra, non credo abbia molto senso il “cantiere” messo in piedi alla bisogna.
 
E per una ragione molto semplice: vale a dire l’impossibilità di unire attorno ad uno stesso programma che non abbia il fiato corto di una competizione elettorale, personalità e movimenti talmente eterogenei da rendere impraticabile una politica comune. Se poi lo si analizza anche dal punto di vista della consistenza numerica, ci si rende conto che un disegno di tal genere è a dir poco velleitario, posto che la stragrande maggioranza degli italiani non sembra avere alcuna voglia di riconoscersi in un soggetto che abbia la sola ambizione di demolire gli schieramenti progressista e conservatore al fine di mettere in piedi un caravanserraglio nel quale convivano tutti gli scontenti che negli ultimi vent’anni si sono riconosciuti nel berlusconismo e nell’antiberlusconismo.
 
Il moderatismo, dunque, il cui primo embrione, cioè il Terzo polo, è stato annichilito dal voto amministrativo di maggio, è piuttosto l’alibi per giustificare la nascita di un nuovo rassemblement all’insegna di un direttorio tecnocratico-populista che dovrebbe garantire la continuità dell’azione del governo Monti unita ad un richiamo ad un politicismo sostanzialmente immobilista e, dunque, ostile ad ogni cambiamento nell’ambito istituzionale. Dunque, un ritorno al proporzionalismo, la scelta dei governi dopo le elezioni, l’europeismo vissuto come tributo alle politiche economiche e finanziarie degli organismi sovranazionali (Bce, Fmi, Ue), interventismo neo-clientelare e via elencando.
 
Naturalmente se questo dovesse essere il risultato complessivo del moderatismo, è fin troppo chiaro che la parte più consistente che dovrebbe confluire nel movimento che lo promuove, cioè il Pdl, non potrà starci a meno di non rinunciare alla sua pur pallida identità che, in assenza di un progetto organico smarrito per strada, si concreta adesso nella salvaguardia di un bipolarismo con l’ambizione di aggregare non tanto forze sedicenti “moderate”, bensì tutti i soggetti che condividono un percorso riformista e di risanamento economico.
Non ci vedo nulla di moderato nell’opposizione al regime fiscale forzosamente imposto agli organismi europei che sta facendo deflagrare il conflitto sociale in forme assai preoccupanti.
 
Non mi pare che richiamarsi alla continuità del governo dei tecnici possa essere prova di moderatismo politico dal momento che le conseguenze degli obiettivi perseguiti dall’esecutivo esaspereranno le condizioni di vita degli italiani. Non credo che il mondo moderato, sempre che esista in natura, si riconosca nelle posizioni di chi non ha la benché minima intenzione di modificare gli assetti istituzionali. A tale riguardo, ricordo che il successo dell’esordio politico di Berlusconi, e dunque del centrodestra più o meno organico, fu caratterizzato dall’ondata riformista del ceto medio che, abbandonate le antiche appartenenze, si riconobbe nella proposta innovativa di un movimento composito ma radicalmente ostile alle pratiche partitocratiche.
 
A parte il fatto che il moderatismo, declinato come vuole l’occasionalismo politico italiano, non vuol dire nulla, ma qualifica tuttalpiù un atteggiamento non isterico nell’ambito del confronto partitico, mi sembra di capire che c’è chi vorrebbe farne uno strumento per frantumare il centrodestra, piuttosto che superarlo, soprattutto culturalmente anche perché − ma questa è una mia impressione, naturalmente − mal si sopporta, tra chi pure a lungo è stato alleato, che una componente chiaramente di destra possa inficiare il discorso di normalizzazione avviato da chi rifiuta la democrazia dell’alternanza e, magari in perfetta buona fede, ritiene che il compromesso costante sia il fondamento di una buona politica.
 
Se così è, ritengo che la prospettiva moderata non abbia possibilità concrete di riuscita, poiché essa è limitata alla recinzione di due soggetti che più che duellare dovrebbero accordarsi non si capisce bene su che cosa, il progressista e il liberal-democratico. Non saprei dire chi dovrebbe concorrere alla formazione dell’uno e dell’altro schieramento. Posso soltanto immaginare che i loro, i “moderati”, lavorino a una cristallizzazione del sistema e, in perfetta buona fede, ritengano di ricostruire dalle macerie del recente passato un’accettabile dialettica democratica.
 
Vedo, a differenza di essi, che lo scontro, o per meglio dire, il nuovo radicalismo si concretizza, ben al di là delle formule, nell’adesione a opposte visioni del mondo: da una parte i globalisti con le loro politiche disarmanti i diritti dei popoli e volti a ridurre i conflitti nella sfera di un’economia mercatista filiazione diretta di un relativismo culturale che non ammette differenze; dall’altro i sovranisti, sostenitori della ricostruzione di società organiche fondate sulla centralità della persona, la difesa delle nazioni e delle loro identità, dello Stato regolatore e della sussidiarietà che libera energie, meriti e capacità, dell’Europa dei popoli e del riconoscimento delle culture che in essa convivono.
 
Non escludo che nel campo cosiddetto moderato questa seconda opzione possa trovare sinceri adepti, ma come è chiaro, si tratta di prescindere dalle formule e dal rigorismo mortuario delle ideologie travestite per riconoscere i confini di mondi politici che devono ripensarsi profondamente, al di là della destra e della sinistra naturalmente. Ma, altrettanto, ben oltre le finzioni contingenti che dovrebbero giustificare operazioni destinate a durare lo spazio di un mattino.
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