Caro direttore, gli articoli di fondo di Angelo Panebianco invitano sempre a ragionare fuori da schemi predeterminati dalle correnti di pensiero dominanti, ma quello pubblicato ieri sul Corriere fa eccezione, ribadendo la tesi consueta che l´uscita dall´euro rappresenta un pericolo per la democrazia, mentre a mio avviso è l´opposto.
Due miei maestri, Carli e Cossiga, mi hanno insegnato, il primo, che una posizione deve essere sempre ben meditata e ben espressa e, il secondo, che non bisogna avere timore delle reazioni altrui se si esprime ciò che detta la ragione e la coscienza. E ciò che ho fatto e non da oggi. Quando si andava delineando la possibilità che la moneta unica fosse realizzata, scrissi una memoria, pubblicata però nel 1995, intitolata «L´Europa dai piedi di argilla», sostenendo cioè che era una magnifica architettura costruita però sulla sabbia; non credevo allora che fossero «sabbie mobili», ma i derivati non erano ancora diventati fonte di inquinamento.
Dal punto di vista strettamente economico era noto che l´eurosistema non fosse un´area monetaria ottimale e, pertanto, senza una perfetta mobilità del lavoro per permettere di raggiungere il capitale dove viene investito, e una politica compensativa degli shock esterni (come è stata la crisi americana originata dai mutui subprime, «pro bono pacis» di Obama a Los Cabos), avrebbe causato una spaccatura tra Paesi che crescono e altri che decrescono. Questa è una situazione insostenibile sul piano delle democrazia, destinata a sfociare nel cambio dei partiti al governo o in una maggiore confusione, come accaduto in Grecia e va accadendo da noi. In ogni caso non risolve il problema perché non sono le capacità di governo della crisi, ma l´architettura di sistema, a causare questo stato di cose.
La tesi di fondo di Panebianco è che l´Italia ha fatto ricorso e ancora abbisogna del vincolo esterno per non cadere nel baratro. A parte il severo giudizio sugli italiani e, di conseguenza, sulla stessa concezione di democrazia, che non ho motivi storici per indurmi a condividerla, il vincolo esterno non consente a un popolo di maturare, ma lo costringe ad accettare questa o quella scelta di élite più o meno «illuminate» che, di volta in volta, lo terrorizza con il pericolo comunista, con le crisi economiche e la disoccupazione o paventando un default del debito pubblico e non solo di quello. Non voglio dissertare sul contenuto diseducativo sul piano sociale e democratico dei vincoli esterni, ma sottolineare che quelli ai quali fa riferimento Panebianco (Nato e Comunità europee) e altri (Fmi e Wto) hanno tutti operato in direzione dello sviluppo economico e del benessere sociale; non così è stato per quelli introdotti dal Trattato di Maastricht e successivi accordi, con forte probabilità che ciò accada ancor più ratificando il fiscal compact.
La scelta di fronte alla quale ci troviamo è tra un degrado lento, al quale gli italiani saprebbero adattarsi, e lo shock violento di un´uscita governata dall´euro (il Piano B da me invocato nel luglio scorso) che, detto in modo semplicistico, comporta scegliere tra una disoccupazione del 20% o un´inflazione dello stesso ammontare. Personalmente sono più preoccupato, anche per gli assetti democratici interni, dalla prima ipotesi piuttosto che dalla seconda.
Corriere della Sera