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Regina e il mestiere più pericoloso del Messico

Da quando era piccola Regina Martínez sapeva cosa voleva fare nella vita: cercare la verità e raccontarla. A qualsiasi costo. Per questo lasciò il suo paesino natale, Rafael Lucio, una località al nord di Veracruz, e se ne andò all’Università Veracruzana per studiare giornalismo. Nata nel 1963, aveva vissuto a Chiapas, dove iniziò con la tv per passare poi alla stampa scritta divenendo corrispondente del settimanale “Proceso”a Veracruz. Una zona dove l’informazione è condizionata dal potere politico e le minacce della criminalità organizzata.
 
Nel suo impegno Regina si è dovuta confrontare con governatori, segretari di governi, politici, avendo in mano soltanto informazioni critiche contro le loro amministrazioni.
 
Regina credeva in quello che faceva. Era metodica e responsabile. Non aveva mai pubblicato una riga che non fosse stata confermata e riconfermata e non ha mai fatto un passo indietro, o un silenzio, davanti ad un’intimidazione. Che di certo non sono mancate.
 
Narcotraffico, violenze sessuali, corruzione, impunità. Regina approfondiva le storie lì dove i diritti e la libertà venivano compromessa e puntava il dito sui colpevoli. Non importava il rango.
 
Indimenticabili i reportage sulla violenza sessuale contro Ernestina Ascencio da parte di un gruppo di soldati dell’Esercito messicano. Le autorità avevano dichiarato che la ragazza era morta di “anemia acuta”, ma i 63 reportage d’inchiesta di Regina hanno svelato la realtà.
 
Regina è stata uccisa lo scorso 29 maggio nella sua casa. Aveva segni di tortura e sembra che sia stata strangolata. La polizia ha aperto un’investigazione per cercare i colpevoli ma fino ad oggi non c’è nessun imputato. Pochi giorni dopo, i fotografi Guillermo Luna, Gabriel Huge e Esteban Rodríguez sono stati assassinati, i loro corpi trovati con segni evidenti di tortura. Assieme a loro, negli ultimi anni sono stati uccisi altri 70 giornalisti in Messico. Tredici sono scomparsi.
 
Veracruz è diventato il luogo più pericoloso al mondo per fare giornalismo. Non esiste nessun altro paese al mondo dove il mestiere sia così rischioso e l’impunità altrettanto galoppante. Tutti hanno paura di parlare e anche di indagare. L’effetto, inevitabile, è quello dell’autocensura. La guerra del narcotraffico sta non solo finendo con la vita di migliaia di persone (10 mila in cinque anni), ma rischia di condannare il paese sudamericano alla disinformazione e alla mancanza assoluta di libertà.
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