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Danni collaterali dell’eurozona in crisi

L’eurozona ha seri problemi che difficilmente possono essere risolti nell’arco di poche settimane. Pochi riflettono sui danni collaterali dei travagli dell’euro. Circa un anno e mezzo fa, Formiche ha ricordato come l’area dell’euro sia molto più vasta dell’eurozona a 17; essa include micro-Stati che hanno adottato la moneta unica europea per mera convenienza pratica ed unioni monetarie (come quelle di numerosi Stati africani) che hanno tassi di cambio fissi con l’euro, nonché Stati associati all’Unione europea che per comodità hanno optato per un regime di cambi fissi. Sono una sessantina gli Stati le cui politiche monetarie si fanno a Francoforte e le cui politiche economiche sono fortemente influenzate da quelle definite per l’eurozona. Anche se solo 17 hanno voce in capitolo. In breve, nell’eurozona ampliata a 60, oltre 50 Stati subiscono danni collaterali diretti da quanto sta avvenendo all’unione monetaria.
 
Pochi però hanno pensato alle implicazioni, e ai danni collaterali indiretti, per le unioni monetarie in fieri – e in vari stadi di concezione e preparazione – che, visto quanto sta avvenendo nel Vecchio Continente, stanno facendo passi indietro. Il caso più significativo è quello dell’area del Pacifico. Il mondo sarebbe più semplice se tre-quattro grandi aree commerciali e monetarie lavorassero con l’obiettivo comune della crescita e della lotta alla povertà.
 
In uno degli ultimi lavori del servizio studi della Banca asiatica di sviluppo Yung Chu Park della Università nazionale della Coera e Chi Young Song della Università Kookmin sottolineano come sia stato accantonato ormai per sempre (vista l’esperienza in Europa) il progetto di dare vita tra una dozzina d’anni a un’unione monetaria del bacino del Pacifico che avrebbe portato a cambi più stabili e a maggiori flussi commerciali e finanziari. Sullo stesso tema insiste il volume collettaneo East Asia financial integration: a road ahead, curato dall’economista giapponese Junji Nagawaka e appena pubblicato da Routledge a Londra. Edwin Truman del Peterson institute for international economics vede anche a rischio il futuro del coordinamento monetario in Estremo Oriente. Con danni per l’intera comunità internazionale. Ramkishen Rajan della George Mason University considera in pericolo la gestione dei regimi dei cambi.
 
Un gran peccato! L’economista sino-americano Yi-Wen in un working paper della Federal Reserve Bank di St. Louis ricorda che un percorso verso un’unione monetaria asiatica, avrebbe messo a buon uso le enormi riserve che giacciono presso l’autorità monetaria cinese. Lo stesso Bin Zhang dell’autorità monetarie di Beijing sostiene in un documento di lavoro che sarebbe utile che le banche centrali asiatiche spostino gradualmente verso lo yuan le loro riserve in dollari Usa. E uno dei principali gestori di fondi asiatici Surjit Bhalla, in un saggio apparso in “Comparative economic studies”, affermava che lo yuan sarebbe stato l’euro dell’Asia. Ormai, tutti sogni nel cassetto.
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