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Siria, gli Usa cercano di sfuggire all’impasse Onu

Il nuovo veto russo-cinese alla risoluzione del Consiglio di sicurezza sulla Siria avrà conseguenze. Tre sconfitte su altrettanti tentativi di regolare per via diplomatica la guerra civile nel paese mediorientale, stanno spingendo gli Usa a cambiare atteggiamento. Troppo dure per essere ignorate le accuse che il candidato repubblicano alla Casa Bianca ha rivolto a Barack Obama. “Assenza di leadership” internazionale e fissazione su una politica, quella del riavvio con Mosca, che “non da risultati”. Questo l’attacco di Romney al presidente in carica. Un fuoco di fila al quale il leader democratico non poteva limitarsi a ribattere secondo tradizione. Secondo il partito dell´asinello Russia e Onu sarebbero i bersagli tradizionali di una politica, quella neoconservatrice, che ha mostrato i propri limiti nella campagna irachena.
 
Ingranaggio siriano oltre l´Onu
 
Anche perché questa volta l’impasse Onu è stato sfidato dalla “sorpresa di luglio”. L’attacco al cuore del potere alavita portato mercoledì scorso dalla guerriglia siriana potrebbe costringere Washington a mettere le mani nell’ingranaggio siriano. È stata Susan Rice a mandare il primo segnale della svolta. L’ambasciatrice Usa al Palazzo di vetro ha fatto presente che da ora in poi il suo paese “farà pressione al regime di Assad” cercando partner “esterni al Consiglio di sicurezza”. È il momento di sostenere maggiormente chi “ha bisogno di aiuto”, ha sottolineato il diplomatico americano.
Se a queste parole seguiranno i fatti, la svolta sarebbe netta. Sin dall’inizio il conflitto siriano è stato caratterizzato dalla presa di distanza di Washington. Il presidente Usa ha preteso da Assad un generico rispetto dei diritti umani. Una posizione che nei momenti di maggiore tensione internazionale è arrivata fino a chiedere le dimissioni del dittatore siriano. Affermazioni mai accompagnate da misure concrete.
 
A differenza di quanto successo con la Libia l’ipotesi di chiusura dello spazio aereo o la possibilità di utilizzare contro il regime l’aviazione militare Usa non sono state prese seriamente in considerazione. Obama ha puntato tutto sul Consiglio di sicurezza senza però riuscire mai a battere la resistenza cino-russa. Diverse le cause di questo atteggiamento arrendevole. Innanzitutto la mancanza di interessi immediati in Sira da parte dell’amministrazione americana. Subito dopo la volontà del presidente Usa di non apparire il gendarme delle relazioni internazionali. Infine l’obiettivo prioritario di Obama. Le chance di rielezione a novembre, non vanno appesantite da problemi di politica estera difficilmente risolvibili.
 
Insostenibili i costi umani del conflitto
 
Ora però i costi umani e sociali del conflitto diventano impossibili da ignorare. 15mila morti e 125mila sfollati sono il risultato dell’inasprirsi della guerra civile siriana. Cifre che potrebbero raggiungere livelli insopportabili proprio in concomitanza con le elezioni presidenziali Usa. Rendono intollerabile l’inazione della maggiore potenza mondiale. Ecco perché Washington prepara la svolta. Più che dal silenzio della Casa Bianca, lo si capisce dalle notizie apparse sui media Usa. Secondo il New York Times infatti sarebbero già in corso contatti con Turchia e Israele per coordinare le misure da prendere nel caso del sempre più probabile crollo del regime alavita. Questo è anche il motivo per cui nei prossimi giorni il ministro della difesa Usa Leon Panetta si recherà a Gerusalemme.
 
La Casa Bianca non intende però piegarsi ai diktat repubblicani e rifornire di armi i ribelli: Non c’è nessun per sostituirsi a Turchia, Qatar e Arabia saudita che svolgono alla perfezione questo ruolo. Washington vuole invece dare all’insurrezione siriana impianti di comunicazione più efficaci. L’amministrazione Obama non intende farsi cogliere di sorpresa dal crollo del regime di Assad. Da qui la creazione di un processo di transizione che dovrebbe dar vita a un governo siriano provvisorio. Comprensibile dunque la ricerca di un maggior dialogo con i differenti gruppi etnici e religiosi siriani. Che si tratti di una road map di difficile realizzazione transizione tutti ne sono convinti a Washington. Riportando l’opinione di un alto collaboratore del Pentagono Il New York Times sottolinea che a breve l’amministrazione Usa dovrà far fronte a scelte cui sarà impossibile prevedere le conseguenze.

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