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Dove sono le altre due Pussy Riot? Fuori dalla Russia

I due membri del gruppo punk “Pussy Riot” che la polizia cercava in Russia per essere processate a causa dello show anticlericale e anti-Cremlino nella cattedrale Cristo Redentor a Mosca sono scappate all’estero. La notizia è stata diffusa dall’account Twitter del gruppo, che ha spiegato che saranno reclutate “femministe straniere per attivare nuove proteste”.
 
Lo scorso 21 febbraio, cinque ragazze con il volto coperto sono entrate nella principale chiesa della capitale russa per interpretare una preghiera punk “Madre santa. Caccia via Putin”. Successivamente, Maria Alyokhina, Nadezhda Tolokonnikova e Ekaterina Samutsevitch sono state detenute e processate. La condanna di due anni di carcere è arrivata il 17 agosto. La performance di queste “ragazze cattive” era chiaramente di carattere politico ma il giudice, Marina Sirova, si è rifiutata di riconoscerlo e ha argomentato che la parodia di riti sacri, in quel luogo, aveva come fine istigare all’odio contro il cristianismo ortodosso, religione della maggioranza in Russia.
 
Oltre ad attivisti e organizzazioni in difesa dei diritti umani, le “Pussy Riot” hanno ricevuto il sostegno di famosi come ad esempio Madonna, Paul McCartney, Sting, Patty Smith, Red Hot Chili Peppers, Faith no More e Yoko Ono. In Russia hanno manifestato solidarietà lo scrittore Grigori Chjartishvili, in arte Borís Akunin, e il campione di scacchi Gari Kaspárov.
 
 
Effetto emulazione? Contro i simboli ortodossi
Dopo il caso delle “Pussy Riot” un altro atto, questa volta sì contro la Chiesa ortodossa russa, ha scatenato la furia del Cremlino: sconosciuti hanno usato motoseghe per abbattere almeno quattro croci di legno in due regioni del Paese durante il fine settimana. Il caso sta suscitando indignazione diffusa e alcuni temono disordini religiosi.
 
La ferita interna alla comunità ortodossa è ormai aperta. Ora più che mai, il risentimento di chi condanna lo strapotere crescente di alcune frange ortodosse ed ecclesiastiche, sempre più legate al potere politico, si scontra col comprensibile fervore religioso di coloro che hanno dovuto rinunciare per 70 anni alla propria fede.
 
La scorsa settimana, il diacono Sergey Baranov dell´eparchia di Tambov – Russia sud-occidentale – ha scritto una lettera aperta al Patriarca Kirill, spiegando la sua decisione di lasciare il sacerdozio come segno di protesta contro un verdetto che è stato “dettato da un tribunale ecclesiastico”.
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