Essere calati in un’economia globale interconnessa, ovvero la globalizzazione, ha un impatto positivo sulle economie. Ma è un’equazione complessa e imperfetta. La globalizzazione ha effetti positivi, questo è indubbio. E quindi non può che avere un impatto positivo sull’Europa.
Di fatto però molta meno globalizzazione di quanto si pensi. La strada da percorrere per beneficiare davvero della globalizzazione è lunga e complessa e fatta di maggiore apertura, non di chiusura.
L’impatto positivo su crescita, prosperità, concorrenzialità, di una accresciuta integrazione globale ed apertura economica può rivelarsi enorme. E’ vero che una telefonata transoceanica nel 1930 costava 350 dollari, e nel 1990 40 centesimi, e che oggi, con Skype, o altri sistemi di Voip (telefonia via Internet), la telefonata costa praticamente zero dollari. Tuttavia nemmeno il 2% di tutte le telefonate è internazionale. Ancor oggi, più del 90% dei cittadini di un Paese non lo lascerà mai per andare all’estero, il 90% degli investimenti fissi è domestico, i flussi migratori tra il 5 e il 10% della popolazione, le esportazioni, intorno al 20%. Se poi si entra nel dettaglio delle operazioni di chi cerca di trasferire le proprie attività a livello internazionale, ci si accorge della miriade di barriere, difficoltà e costi che ancora rendono “lontano” il mondo al di fuori dei nostri confini. Ancor oggi, il commercio tra le regioni di una singola nazione, ad esempio, è di numerose grandezze superiore al commercio transfrontaliero.
Questo per dire che bisogna stare attenti quando si esaltano gli effetti positivi o negativi dell’integrazione globale. Tale integrazione è ancora molto imperfetta, e limitata, e gli effetti positivi, per esempio, di una vera, potente e rapida migrazione del fattore lavoro, per citarne uno, sono ancora mitigati da innumerevoli ostacoli – anzi, a sentire i demografi, emigrare oggi è diventato molto più difficile che negli anni Venti!
Il valore positivo della maggiore integrazione globale sta nello scambio di prodotti, servizi e fattori della produzione che hanno un impatto positivo di lungo periodo sulla crescita – tecnologia, innovazione, lavoro, investimenti diretti esteri. Sono questi che occorre facilitare. Lo scambio globale in termini di flussi commerciali e di investimenti diretti di capitale ha davvero un impatto importante sulla crescita dei Paesi. I flussi di lavoro, di idee, la ricerca di economie di scala, anche dove ci sono importanti barriere agli scambi, sono tutti elementi che contribuiscono in modo rilevante alla crescita. La globalizzazione facilita il trasferimento del capitale e delle tecnologie fra i Paesi.
La “distanza” è un fattore fondamentale nel determinare l’intensità dell’integrazione transfrontaliera. Distanza intesa come concetto multifunzionale, ma anche distanza fisica. L’Europa dell’Est, il Medio Oriente, il Mediterraneo del Sud, e l’Africa, sono pertanto regioni “vicine”, sia fisicamente che culturalmente, alle quali come Europa dobbiamo rivolgere l’attenzione maggiormente.
L’integrazione dei flussi di capitale è uno degli aspetti più complessi della globalizzazione. La globalizzazione dei flussi finanziari speculativi e di brevissima durata, può infatti alimentare l’instabilità delle economie e richiede una seria riflessione sulla sua utilità. Al contrario, gli investimenti diretti all’estero sono un flusso di fondi molto più solido e prevedibile, anche perché il periodo richiesto perché un’impresa che crea una nuova attività all’estero per arrivare al break even è di solito lungo, e richiede un forte impegno.
Si passi all’analisi di un secondo punto. La perdita di etica e competitività sono all’origine del nostro declino. Occorre riscoprirle. Quali sono i pilastri del predominio economico, geopolitico, culturale, religioso e dei valori, negli ultimi 500 anni di storia, dell’Occidente (e dell’Europa, a fortiori)? Mi pare che Niall Ferguson, lo storico economico di Harvard e Oxford, li abbia riassunti bene. Sono:
1. La concorrenza, assieme al decentramento della vita politica ed economica, che ha creato la piattaforma di lancio per gli Stati-nazione moderni e il capitalismo.
2. La scienza, un modo di studiare, capire e finalmente mutare il mondo naturale, che ha dato all’Occidente, tra l’altro, un fondamentale vantaggio militare sul resto del pianeta.
3. La protezione dei diritti di proprietà privata per legge, e l’uso della legge per risolvere in modo pacifico le dispute fra i privati, che ha costituito la base per le forme più stabili di rappresentanza.
4. La medicina, una branca della scienza che ha permesso enormi progressi nella salute e nella speranza di vita della popolazione, originata nelle società Occidentali, ma anche nelle loro colonie.
5. La società dei consumi, un modo di vita materiale in cui la produzione e l’acquisto di vestiario ed altri beni di consumo giocano un ruolo economico centrale, senza il quale la Rivoluzione Industriale non avrebbe avuto successo.
6. L’etica, e in particolare l’etica del lavoro, ovvero un quadro di riferimento morale derivabile (tra gli altri) dalla religione cristiana, un collante che ha tenuto assieme la società, dinamica, e potenzialmente instabile, per 500 anni.
Ma gli elementi più importanti per il successo dell’Europa, sono la competitività e l’etica. La concorrenza è il motore dello sviluppo. L’etica e la fiducia nelle transazioni è ciò che permette di espandere gli affari e la crescita in modo flessibile e libero, senza la rigidità di un’economia socialista o controllata.
E’ anche purtroppo il declino di questi elementi che sta alla base dell’indebolimento dell’Occidente e dell’Europa. Eppure questi elementi rimangono dominanti in tutti il mondo. I valori e i modi di produzione che ci caratterizzano sono in verità stati accolti da molti altri Paesi: i Cinesi hanno il capitalismo; gli Iraniani la scienza; i Russi la democrazia; gli Africani, lentamente, stanno padroneggiando la medicina; e i Turchi hanno ormai una fiorente società dei consumi.
Ma i nostri peggiori nemici siamo noi stessi. Come dice lo storico, non è la concorrenza dei nuovi imperi (Cina, India, Russia, Brasile) il pericolo. “La principale minaccia alla civiltà Occidentale non è posta dalle altre civiltà, ma dalla nostra propria incapacità e paura – e dall’ignoranza storica che la alimenta”. Un elemento fondamentale di questo indebolimento è proprio la perdita di valori, di principi etici, dell’etica del lavoro e negli scambi, che ha costituito la “colla” dell’Occidente. Quindi non è cosa da poco, e di cui preoccuparsi solo localmente. Dobbiamo accrescere la consapevolezza di questo pericolo a livello Europeo e globale.
L’economia globale, la globalizzazione, quindi di per sé non penalizza l’Europa. L’integrazione a livello globale, e i suoi benefici, sono un meccanismo complesso che va gestito, e in cui comprendere al meglio le origini dei propri vantaggi competitivi, la natura della distanza fra Paesi e delle barriere e dei fattori di contagio, sono ingredienti necessari al successo di un Paese o blocco di Paesi. I benefici dell’integrazione con l’economia globale sono ancora potenzialmente enormi, e la crescita di lungo periodo dipende in modo cruciale dalla capacità di gestire al meglio tale integrazione ed interscambio.
Io credo che l’Europa, il progetto Europeo di una grande zona di libero scambio, di pace, e di condivisione di obiettivi comuni di crescita, sia un progetto fondamentale per la stabilità, la prosperità e la crescita nel mondo intero. Quei valori e quei tratti che sono stati alla base della grandezza dell’Occidente, e che oggi si sono diffusi in tanti altri Paesi e culture, nascono in Europa, e in Europa si sono accumulati e sedimentati nel tempo, e forniscono uno zoccolo di grande spessore sul quale rilanciare il ruolo centrale dell’Europa nel mondo del futuro, un mondo sì multipolare, ma dove potremo continuare ad essere protagonisti. Dobbiamo quindi difendere e rilanciare questo modello.
L’etica e i principi che sono stati alla base del successo dell’Europa e dell’Occidente per più di 500 anni affondano saldamente le loro radici nella tradizione religiosa cristiana, cattolica e protestante, una tradizione che va riscoperta e riaffermata con vigore se vogliamo affrontare la globalizzazione su basi solide.
Affrontare con successo le sfide poste dall’integrazione nell’economia globale richiede poi uno sforzo di riequilibrio e rilancio dell’economia domestica. In particolare, occorre garantire una crescita equilibrata nell’occupazione, nella produzione e in generale nelle opportunità a tutte le regioni dei Paesi in particolare del Sud Europa e in special modo in Italia. Se ancor oggi il 90% delle transazioni commerciali avvengono tra le regioni all’interno di ogni Paese, credo sia ancor oggi primario promuovere lo sviluppo equilibrato dell’economia domestica su tutto il territorio nazionale, con un’enfasi sui vantaggi comparati di ciascuna delle sue regioni e componenti interne, per accrescere anche così la competitività a livello internazionale. Questo vale per l’Europa come per ogni singolo Paese. Un elemento fondamentale per riguadagnare tale competitività è anche quello di raggiungere un equilibrio e un rispetto reciproco fra le varie regioni del Paese e componenti della società, che, tutte, devono partecipare a tale sforzo e beneficiarne.
Ci riusciremo? L’Economist della settimana scorsa mostrava in copertina Angela Merkel “tentata”, con in mano un manuale su come distruggere l’Euro. Forse dovremmo allora rilanciare l’Europa da Sud invece che da Nord per garantirne il successo.
Francesco Confuorti, Presidente di Advantage Financial
Discorso tenuto presso il Meeting di Rimini, per gentile concessione dell’autore.
Per ogni approfondimento consultare il sito www.adfinancial.net