Nichi Vendola è un uomo politico di grande esperienza. Cresciuto alla scuola del Pci è stato parlamentare molto impegnato in commissione antimafia. Lì ha conosciuto e coltivato relazioni con il mondo della giustizia e dell’ordine pubblico. Nel tempo ha esercitato e accresciuto una capacità narrativa che lo ha reso un Roberto Saviano ante litteram. La sua elezione alla guida della Regione Puglia è avvenuta quasi per caso anche se al termine di una campagna elettorale tostissima, culminata nella nomina ad assessore del pm che voleva arrestare il suo avversario (il presidente uscente del Pdl). Dopo alcuni anni di governo regionale, il bilancio di Vendola è politicamente attivo, finanziariamente in perdita e giudiziariamente in chiaroscuro (alcune inchieste lo hanno lambito ma non travolto).
Non sorprende quindi che il leader di Sel voglia sganciarsi dalla sua Puglia e naturale è la sua collocazione accanto al Pd. La domanda però è un’altra. Nel momento in cui Bersani fa, non senza difficoltà e traumi, i conti con la sua identità e decide di separare la sua carriera da Di Pietro, Grillo, Fatto, Micromega e antagonisti vari, che senso ha coltivare una nuova fonte di contraddizione ed equivoci? La facile scommessa è che per il Partito democratico l’alleanza con Vendola sarà un passaggio obbligato che costerà carissimo, ben più dei voti che il governatore pugliese riuscirà a portare in dote.