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Le lacrime di Londra 2012

Mentre siamo alle battute finali di Londra 2012, tornano alla mente nelle immagini più significative di queste Olimpiadi tutte le lacrime che abbiamo visto scorrere, così uguali nella loro sostanza, ma capaci di esprimere stati d´animo così diversi.
 
Lacrime lievi che solcano il viso o rimangono negli occhi di chi è salito sul podio più alto e nel sentire l´inno del suo Paese davanti a uno stadio gremito rivede tutti i giorni vissuti ad allenarsi con passione, sacrificio, dedizione fino ad arrivare fino a lì.
 
Le lacrime di chi ci ha messo la stessa passione ma non è riuscito a coronare il suo sogno. Perché i suoi avversari erano semplicemente più forti, come la pallavoliste azzurre schiacciate a terra ai quarti di finale da una Corea del Sud guidata da una Kim Yeon-Koung che neanche Mila Hazuki, o per sfortuna, Tania Cagnotto che sfiora il bronzo per 20 centesimi nei tuffi o per cavilli burocratici, Vanessa Ferrari che totalizza lo stesso punteggio della terza classificata Mustafina ma per una questione di regolamento finisce quarta. O ancora di chi come la schermitrice sudcoreana Shin A Lam non ci sta a perdere e, dopo che la giuria assegna la vittoria all´avversaria nella semifinale della spada, si dispera e occupa la pedana per oltre un´ora.
 
Eppure, con tutto il rispetto per quelle versate “sul campo”, di queste Olimpiadi le lacrime che più ci rimarranno impresse nella memoria e nel cuore saranno quelle di chi a Londra in realtà non è mai arrivato. Le parole rotte dal pianto di Alex Schwazer, il marciatore medaglio d´oro a Pechino e cacciato per doping, mentre racconta ai giornalisti e all´Italia intera la sua fragilità di uomo, prima che di atleta. Che è poi quella che si nasconde in fondo a ciascuno di noi, schiacciato tra ciò che deve essere e ciò che realmente è.

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