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La Primavera Araba? Un inverno di terrore

Fai attenzione a quello che desideri perché si potrebbe avverare. Qualcuno nelle cancellerie occidentali nelle ultime 48 ore avrà probabilmente pensato a questo detto alla luce del progressivo deteriorarsi della situazione in Nord Africa e Medio Oriente.
Gli entusiasmi suscitati in Europa e negli Stati Uniti dalla cosiddetta Primavera Araba sono durati davvero poco. Lo scenario di trasformazione dei Paesi a Sud del Mediterraneo in democrazie liberali e filo occidentali, terreno di cultura in terra magrebina dei valori caratterizzanti le rivoluzioni liberali del XIX secolo in Europa, si è rivelato illusorio.
 
Un risveglio brusco per chi ha esultato interpretando ingenuamente le rivoluzioni degli Stati che si affacciano a Sud del Mediterraneo come un segno delle “sorti magnifiche e progressive” del paradigma occidentale anche nel mondo Arabo.
La Primavera Araba, peraltro sostenuta e finanziata dall’Occidente, è stata propagandata come la proiezione dei nostri valori in una terra culturalmente lontana. Popoli che si ribellano a regimi illiberali, e, con la forza della loro fame dilibertà e Big Mac condivise con Twitter e Facebook, ottengono, nel giro di poche settimane, una transizione a una democrazia parlamentare. Mercato e democrazia come presupposti della scomparsa del terrorismo islamico per via dell’inevitabile assimilazione culturale del mondo arabo da parte dell’Occidente.
 
Peccato che questa lettura sia viziata dalla prospettiva miope dell’osservatore. In primo luogo la Primavera Araba non è partita in quanto Voltaire e Montesquieu sono diventati autori popolari in Nord Africa ma semplicemente per via dell’inflazione del prezzo dei prodotti alimentari tra il 2008 ed il 2011(anche per via dell’eccesso di liquidità nel sistema finanziario mondiale legato alla crisi finanziaria che è confluito sui mercati dei derivati sulle materie prime). Non fame di democrazia ma di cous cous. Un qualcosa che noi Occidentali dovremmo conoscere ricordando come la Rivoluzione Francese è iniziata (e che i notabili europei dovrebberotemere, in considerazione della pesante crisi finanziaria del continente chepotrebbe essere benzina per populismi di varia matrice).
 
In secondo luogo la democrazia non cresce per innesti ma per lenta assimilazione. Il mondo arabo è da sempre un mosaico di situazioni locali inprecario equilibrio tra di loro. Se si sposta una tessera del mosaico, è inevitabile che l’equilibrio complessivo venga meno.
Certo sarebbe stato auspicabile che quanto avvenuto in Afghanistan (dove i Talebani sono stati a lungo beneficiari di supporto economico e militare da parte degli Usa) e in Iraq (dovesi immaginava che, una volta caduto Saddam, il Paese si sarebbe trasformato in una protettorato Occidentale) fosse stato di lezione per i ministri degli Esteri occidentali.
 
I regimi, cleptocratici e brutali, del Nord Africa pre-Primavera erano, volenti o nolenti, fattori di stabilizzazione in quanto laici e, di conseguenza, limitanti della capacità di proselitismo da parte degli estremismi.
Questo non vuole dire sostenere o giustificare Gheddafi, Ben Ali o Mubarakma semplicemente essere consapevoli che ogni transizione brusca e non preparata da tirannia a dittatura è destinata al fallimento.
 
Basta confrontare, in campo economico, la transizione da economia pianificata di stampo socialista a capitalista della ex Unione Sovietica e della Cina. Nel primo caso un brusco passaggio ha generato una cleptocrazia conuna minoranza della popolazione ultra ricca e tensioni sociali che prima o poi sono destinate ad esplodere; nel secondo caso un percorso graduale con un progressivo allargamento della classe media e la creazione di un Welfare State occidentale(ben descritto nell’ultimo numero dell’Economist).
 
L’innesto della democrazia parlamentare in Paesi che, come la Libia, hanno vissuto per decenni in dittature basate sul carisma del leader ha generato un vuoto di potere che, come capitato in altri contesti, viene immediatamente riempito dagli estremismi alimentati da antiche ostilità verso l’Occidente che necessitano di un paio di generazioni per scomparire e non certo di qualche mese.
 
Come in Afghanistan i Talebani, così in Libia i Salafiti hanno occupato questo spazio andando a prima a colpire, con il supporto di Al Qaeda, quanto ritenuto non ortodosso e tradizionale nella cultura locale (in Afghanistan iBuddha di Bamiyan, in Libia i siti Sufi) per poi dedicarsi alle rappresentanze diplomatiche occidentali. Lo scellerato film “Innocence of Muslims” di San Bacile è stato solo il pretesto per qualcosa che comunque sarebbe successo.
 
Qual è la cosa peggiore che l’Occidente puó fare in questo contesto? È esattamente quanto sta avvenendo cioè dire che tutti i musulmani sono assassini giustificando, anche per fini elettorali, l’invio di navi da guerra o droni in spedizioni punitive. Forse fermarsi e leggere un libro di storia che ricordi che, dopo la Rivoluzione Francese, c’è stato il Regime del Terrore puó aiutare l’Occidente a comprendere che la democrazia deve essere coltivata ed assimilata e non imposta. Ma anche questa è un’utopia in un mondo in cui anche la politica è show business.
Prepariamoci all’Autunno, questa volta a poche miglia dalle nostre coste.
 
Massimo Brambilla è managing director di Fredericks Michael & Co
 

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