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All’Italia serve una superFinmeccanica (altro che dismissioni)

Gianluigi Magri in questi giorni si divide tra riunioni ministeriali e lavori parlamentari per la riforma delle Forze Armate. Proprio per la riforma, il sottosegretario alla Difesa si sta spendendo per convincere della ineluttabilità, ma anche della bontà, della riforma progettata dal dicastero retto da Giampaolo Di Paola: “La legge delega ora è in prima lettura al Senato e in questi giorni si stanno discutendo gli emendamenti nella Commissione Difesa”. Magri non nasconde che tra i militari ci sono attese, qualche timore e molte apprensioni: “La riforma – rassicura il sottosegretario in una conversazione con Formiche.net – entrerà in vigore progressivamente entro il 2025, quindi ci saranno 12 anni di tempo”.
 
Però la spending review ha accelerato su razionalizzazioni e tagli: “Facciamo chiarezza. Innanzitutto la legge delega prevede una riduzione del numero dei militari da 190mila a 150mila, e i dipendenti civili passeranno da 30mila a 20mila. La spending review riduce almeno del 10% il personale e del 20% i gradi superiori, mentre noi abbiamo previsto una riduzione del 20% per gli ufficiali e del 30% per generali e ammiragli che avverrà entro il 2025”. Secondo Magri, “la riforma incorpora la spending review, che ha semplicemente per alcuni aspetti accelerato i tempi”.
 
Il sottosegretario contrasta anche le preoccupazioni su uno smantellamento-depauperamento delle Forze armate: “Al contrario. Con la riforma, la Difesa sarà più funzionale e operativa. Si riducono i numeri complessivi ma si spenderà meglio per garantire alle Forze armate quella capacità di operatività, di interoperabilità e di proiezione estera indispensabile per impegni flessibili”.
 
E gli F35? Magri è netto: “E’ un aereo necessario. Il ministero ha annunciato che si risparmieranno 4 miliardi di euro, riducendo a 90 il numero di F-35 con cui sostituire i circa 160 fra AMX e Tornado, AV-8B in servizio oggi”.
 
Stiamo sulla difesa aerea. Perché il governo, al di là dei nomi ai vertici del gruppo di Piazza Monte Grappa, non dice che tipo di Finmeccanica auspica? Una Finmeccanica diversificata e con l’attuale perimetro industriale o una focalizzata solo su difesa e sicurezza? “Più che pensare a dismettere le attività civili – risponde il sottosegretario – sarebbe opportuno ragionare dell’interesse nazionale ad avere aziende italiane competitive anche in questo settore, con proiezioni nei mercati internazionali. A questo proposito, spero che la cordata per rilevare una quota di Ansaldo Energia assicuri una presenza di italianità nel futuro dell’azienda”. Nella cordata auspica anche l’intervento del Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti? “Sì. Se è un progetto serio, sì”.
 
Magri non guarda però soltanto ad Ansaldo Energia e sottolinea come ad esempio il gruppo Finmeccanica è presente, e non deve uscire, da altri settori come il segnalamento, dove “Ansaldo Sts può controbilanciare il predominio internazionale che è appannaggio di altri Paesi”.
 
Sta di fatto che l’esecutivo è sembrato assente o silente nel progetto di fusione tra Eads e Bae ormai abortito. Indifferenza o ignoranza? Magri preferisce analizzare i motivi del collasso del progetto. Ricorda i timori di Berlino e della Cancelliera Angela Merkel per gli attuali esuberi di Eads. Inoltre, dice il sottosegretario alla Difesa, “la Francia ha preferito tenersi le mani libere piuttosto che spingere su una fusione che avrebbe probabilmente limitato la sua libertà di azione”.
 
Il sottosegretario, però, non ha condiviso le interpretazioni correnti su genesi e finalità del progetto di fusione. L’idea secondo cui è fallito un progetto di stampo europeo nel campo della difesa aerea non lo convince del tutto, anzi: “Io credo che la fusione fosse più funzionale a rispettabili e legittimi interessi degli Stati Uniti. Perché l’inglese Bae gode di una situazione di fornitore privilegiato del Pentagono, con una serie di vantaggi concreti rispetto a molti altri competitor”. Ma all’interno di un gruppo frutto della fusione tra Bae e Eads, difficilmente questa posizione di privilegio si sarebbe conservata, come il mantenimento di una golden share per Francia e Germania”. Inoltre l’ex commissario dell’Autorità di garanzia nelle Comunicazioni sottolinea come “tutte queste prerogative sarebbero state di sicuro oggetto di un profondo vaglio dell’Antitrust europeo con risultati incerti”.
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