Giunto a Roma per l’InnovaCamp, Zygmunt Bauman non si è sottratto a un confronto con i giornalisti italiani, interessati a cogliere le riflessioni sullo situazione attuale, europea e globale. Uno “Stato della Società Liquida” che potrebbe essere anche uno “Stato della Disunione”, ovvero il punto su quanto è progredita negli ultimi anni quella società individualizzata che il sociologo descrisse per la prima volta ormai più di dieci anni fa.
Siamo, dice Bauman, in un interregno – la categoria gramsciana che serve a indicare storicamente “il vecchio che non muore e il nuovo che non nasce”. Non muore, ma è morente, lo Stato sovrano, vecchia sede di connessioni tra potere e politica. Ma potere e politica, dice il filosofo polacco, sono sempre più divorziate. L’una è la capacità di prendere decisioni, l’altra la capacità di indicare l’agenda su cui decidere. Abbiamo ormai un potere senza responsabilità politica da una parte, e una politica senza potere dall’altra. Il risultato è il fenomeno globale della disillusione dei cittadini e della sfiducia nelle istituzioni: non è la corruzione o la stupidità personale dei politici che la muove, ma l’incapacità di produrre risultati”.
Per Bauman, siamo di fronte ad una frustrazione così onnipervadente da aver preso il posto lasciato vacante dell’ideologia, una frustrazione improduttiva come dimostrano gli scarsi risultati dei movimenti di Indignati e di Wall Street.
Quello che è certo è che non si può tornare a una finta normalità, quella instauratasi negli ultimi trent’anni con la dissociazione tra economia finanziaria ed economia produttiva-distributiva. È importante sottolineare la ferma, robusta distanza del filosofo della liquidità rispetto ai marosi dell’informazione apparentemente democratica. Internet non è per nulla “democratico di per se”: può essere usato per veicolare qualsiasi risposta, anche quella che Bauman chiama “geotribale”. E che comunque, nei marosi dell’età dell’incertezza, riconosce come comprensibile e in certa misura, se usiamo il metro dello studioso, legittima. Non si avanza di un millimetro sulla strada di una società coesa, se si pensa di poter “fare politica” con un tweet o firmando una petizione su Facebook. Questo modo di procedere resta perfettamente dentro il paradigma individualizzante e consumeristico: in questo caso, si consumano con ingordigia notizie e informazioni.
Insomma, Bauman si conferma serio studioso della frammentazione liquida, non deteriore cantore dei suoi vuoti e stanchevoli riti. È l’Europa la grande, difficilissima speranza cui Bauman affida le sue parole più ispirate. L’unità politica del vecchio continente non è in opposizione con quella monetaria, che è un importante primo step, ma non sufficiente. L’europeismo di Bauman si riflette nella sua idea che gli Stati sarebbero ancora più esposti e sfibrati dalle forze globali se non avessero questa roccaforte che, pur con tutti i suoi limiti, fornisce una qualche protezione dai venti più distruttivi. E sui limiti naturali, rispondendo a Formiche.net, Bauman si mostra più preoccupato – è qui che davvero le tanto evocate “paure della postmodernità” prendono contorni più precisi. Il filosofo polacco parla di “limiti naturali ormai vicini” e delinea un futuro di guerre climatiche, non più condotte per le ideologie ma per le più brutali necessità di risorse. Guerre che ci potrebbero riportare agli orrori di settant’anni fa.