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Ecco la versione turca sulla questione siriana

La Turchia è sempre più moderna e in apparenza affidabile. L’immagine del ministro degli Affari europei turco, Egemen Bagis, sembra essere la prova. Durante il convegno “The EU and Turkey: confronting the Mediterranean challenge together”, organizzato dall’Istituto affari internazionali (Iai) a Roma, il ministro ha saputo interloquire senza troppi formalismi e con praticità con accademici, professori e giornalisti italiani.
 
Bagis ha ribadito la necessità di aiuto che ha la Turchia per gestire la problematica dei rifugiati siriani. Negli ultimi mesi circa 100 mila esiliati siriani sono entrati nel loro territorio. “L’Europa pensi meno alla crisi dei titoli e pensi alla gente che dalla Siria fugge in Turchia”, ha detto il ministro.
 
Secondo Bagis, gli europei stanno esagerando con la depressione dell’euro. Alla fine, prima o poi, le crisi finiscono. E lo sa per cognizione di causa perché la Turchia ha passato diversi momenti di instabilità finanziaria e ha saputo uscirne. Oggi è una delle economie emergenti più attraenti a livello globale. “Anni fa la Turchia aveva tassi d’interesse dell’80%, la gente vedeva i suoi beni dimezzare di valore nel giro di una nottata. Grazie a 15 anni di politiche affidabili”, ha detto Bagis.
 
Resta la spina dell’ingresso rallentato della Turchia nell’Ue. Il rappresentate del governo turco ha ricordato che dal 2005 la Turchia tiene aperti 13 capitoli negoziali per ottenere un nuovo status. E in coda ci sono altri 20. “Non vogliamo entrare nell’Ue domani, ma oggi il processo di integrazione è stato dirottato”, ha detto. Bagis ha criticato la richiesta di visti per la Turchia e che siano risolti la questione di Cipro e i problemi del gruppo terroristico Pkk.
 
Sul degenerare della crisi in Siria, il ministro ha assicurato che Ankara è la prima ad avere interesse che il conflitto sia risolto perché è in gioco la sicurezza del proprio popolo. “Se avessimo voluto, avremmo potuto utilizzare come pretesto per attaccare l´abbattimento del nostro caccia a giugno. Ma non vogliamo agire contro il popolo siriano, che paga il prezzo più alto. Finora la comunità internazionale è rimasta a guardare, proprio come è accaduto con la Bosnia. E non vogliamo un’altra Bosnia”.


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