Si può sghignazzare sulle accuse che si stanno lanciando poco velatamente i principali esponenti del Partito democratico. Si possono stigmatizzare i cavilli sulle regole delle primarie. E si possono anche scorgere le premesse di una potenziale frantumazione del Pd in caso di vittoria di Matteo Renzi. Ma su un aspetto non si può tergiversare, dopo l’assemblea di sabato scorso: occorre riconoscere al Partito democratico la capacità e la volontà di dare voci a militanti e simpatizzanti nello scegliere il candidato premier.
In epoche di campagne anti Casta, di populismi montanti e di sfregio delle istituzioni, è un merito che il Pd coinvolga il popolo di centrosinistra. La partecipazione, in democrazia, non è mai poca. E questa volta non si può neppure dire che gli antagonismi siano soltanto personalistici. Idee e programmi di Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi e Nichi Vendola si stanno stagliando chiaramente, con differenze inequivocabili. Una lezione in particolare per il Pdl annichilito dall’irresolutezza di Silvio Berlusconi alla ricerca di un futuro che somiglia sempre più a un passato che non si vuole far passare.