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Genesi ed effetti (nefasti) della Tobin tax merkeliana

L’imposta sulle transazioni finanziarie recentemente approvata in sede comunitaria è l’ulteriore dimostrazione di come la politica economica della Commissione europea preferisca la ricerca del consenso elettorale di breve termine nell’interesse dei membri più autorevoli (leggasi Merkel e Hollande) a discapito di un approccio strutturale ai problemi dell’Eurozona.
La nuova imposta, che si ispira alle teorie di James Tobin del 1972, immediatamente successive alla fine del sistema di Bretton Woods, prevede una tassazione dello 0,1% sulle transazioni azionarie ed obbligazionarie e dello 0,01% sui derivati. Nonostante l’esiguità delle aliquote, l’imposta è stata accolta con grande entusiasmo da autorevoli commentatori e autorità politiche nell’Eurozona.
 
Finalmente la finanza, unico responsabile della crisi in cui versa da ormai più di 4 anni il nostro continente è stata punita e la speculazione sconfitta!
Lungi da me negare il ruolo degli eccessi sui mercati tra le determinanti della bolla del 2008 che ha dato via ad una reazione a catena che ha avuto come ultimo e più fragile anello la crisi del debito sovrano dell’Eurozona. Indubbiamente l’eccesso di finanziarizzazione dell’economia e la progressiva divergenza tra finanza ed economia reale è stato uno dei principali elementi di instabilità del sistema finanziario globalela quale, come ogni nstabilità, è sfociata nell’aumento dell’entropia del sistema che si è scaricata prima sui mercati e, successivamente e rovinosamente, sull’economia reale.
 
Ma, per onestà intellettuale, forse vale la pena di ricordare che il fatto che lo tsunami della crisi globale si sia propagato con violenza sulle coste del debito sovrano dei Paesi europei non ha come unica responsabile la finanza ma è principalmente dovuto alle instabilità implicite nel sistema economico continentale. Non è certo colpa delle banche d’affari se i Paesi periferici dell’Eurozona hanno utilizzato gli anni di relativa stabilità e di bassi tassi di interesse successivi alla creazione della valuta unica non per mettere mano a una serie di riforme volte all’incremento della produttività del sistema (come invece hanno fatto i Paesi del nord del continente, Germania in primis) ma per aumentare la spesa pubblica, strumento principe per comprare consenso elettorale di breve termine, che si è andata a ribaltare sull’aumento del debito pubblico, che altro non è che trasferimento di ricchezza dalla generazione successiva alla precedente.
 
Per questo l’imposta sulle transazioni finanziarie è uno strumento parziale e tendenzialmente inefficace. Non fa altro che spostare l’attività di trading dai centri finanziari che la applicano a quelli che non lo fanno (per esempio Londra, Singapore o la Svizzera) compensando il gettito del’imposta con la perdita di base imponibile derivante dal suddetto spostamento.
 
Sarebbe molto più efficace mettere mano in modo strutturale agli elementi di instabilità del sistema dell’Eurozona (che si può ottenere solo con una vera unione fiscale) puntando sull’aumento del gettito non tanto derivante da una nuova tassa ma dall’incremento della base imponibile che si otterrebbe attirando nuovi investimenti. Sarebbe altresì utile mettere mano a una riforma complessiva dei mercati volta si a prevenire gli eccessi speculativi utilizzando la leva fiscale non per tassare in maniera indiscriminata ogni transazione (incluse quelle dei risparmiatori retail) ma gli utili derivanti dalla speculazione.
 
Infine sarebbe stato utile riflettere su come la nuova imposta incida sul costo della raccolta di risorse finanziarie sui mercati da parte delle imprese, uno delle problematiche principali della crisi.
Ma tutto ciò non si vende bene nelle birrerie e nelle sagre in cui Angela Markel andrà a cercare voti per la sua conferma al cancellierato l’anno prossimo né tantomeno nell’elettorato di François Hollande (e tantomeno nella sinistra Italiana che ha tanta paura dei caimani).
Per cui, ancora una volta si perde un’occasione di cercare una soluzione di lungo termine per inseguire gli interessi politici di breve.
Tanto alla fine a pagare il conto sono i cittadini europei.

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