Good for you, Buon per te! Così si salutavano tra loro i guidatori delle TPrius nella parodia inscenata da South Park in “Smug Alert”. Era il 2006, ma sembrano passati secoli da quando il consumo verde degli automobilisti poteva ancora apparire una scelta controcorrente e lievemente elitaria, addirittura un po’ snob, tanto da meritarsi lo sbeffeggiamento degli autori del fortunato cartoon, qui nelle vesti di vindici dell’America profonda (e a benzina) contro gli stili di vita emergenti della sofisticata metropoli. Tanto che, nell’occasione, i nostri fecero fare una ben brutta fine a San Francisco: sommersa non più dallo smog, ché le macchine ibride ve l’avevano liberata, ma dallo “smug”, una fosca nuvola alimentata dalla prosopopea liberal dei consumatori consapevoli, dai temibili effetti rincretinenti.
A distanza di così pochi anni, una scelta di pochi sembra essere sempre più condivisa, sempre più mainstream. L’America insomma, dopo cinque anni di crisi e l’altalena dei prezzi petroliferi, si sveglia sempre più verde. E, paradosso dei paradossi, sempre più ricca di petrolio.
È l’indipendenza energetica, bellezza! Tra shale gas, tight oil e nuovi giacimenti, gli Stati Uniti entro il 2023 saranno in grado di esportare più energia di quella che consumano. Qualche tempo fa su International economy è apparsa una previsione, secondo la quale nel 2022 la domanda di benzina potrebbe scendere a 6-8 milioni di barili al giorno, contro previsioni di 12 milioni del 2007. Secondo una nuova vulgata, il Nord America (Canada compreso) è il nuovo Medio Oriente. Vi si può leggere addirittura una nuova epopea dei liberi produttori indipendenti, quelli che hanno goduto della scarsa concentrazione del settore e della regolazione ambientale “light” tipica del contesto americano. È forse una forzatura ideologica, ma anche un modo per spiegare l’apparente miracolo di un’America che esporta petrolio e che va a metano, o magari a biofuel, e il tutto senza una pianificazione precisa o assistita da una normativa dettagliata come quella europea. Ma il paradosso più grande è che la Cina è assetata di quel petrolio che l’occidente consuma sempre meno e gli Stati Uniti posseggono in sovrabbondanza. Indipendenza energetica vs interdipendenza finanziaria: e se alla fine il debito Usa in mani cinesi venisse riscattato dalla nuova primavera petrolifera a stelle e strisce?