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Il morbido tocco cinese sullo yuan gradito a Obama

Mancano poche settimana per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, ma anche pochi giorni per il Congresso del Partito comunista cinese. Le previsioni americane sono aperte, mentre in Cina molto probabilmente Xi Jinping sarà scelto come nuovo segretario in sostituzione di Hu Jintao, il primo passo verso la presidenza del Paese. Due nuovi leader, rivali, di due potenze economiche mondiali.
 
In questo panorama elettorale la Cina ha deciso settimana scorsa di apprezzare il valore dello yuan fino a 6,28, un minimo storico che non si presentava dal 1993. In un momento di rallentamento economico, perché dare una mano in questo modo agli Stati Uniti? Una coincidenza o una mossa politica?
 
Il primo ministro cinese, Wen Jiabao, è stato accusato di mantenere a un livello artificiale il cambio per favorire le esportazioni. Secondo Dariusz Kowalczyk, analista del Credit Agricole a Hong Kong, il governo cinese vuole rassicurare dando un’immagine di stabilità politica e di sana economia, per questo si permette il lusso di abbassare la valutazione della moneta. Così potrebbe anche silenziare lo scandalo di Bo Xilai, leader conservatore del Partito comunista cinese, espulso per corruzione.
 
Un editoriale di Le Monde sostiene che questa mossa monetaria cerca di contribuire alla rielezione del presidente Barack Obama, che è il candidato più convincente per gli interessi cinesi. Beijing vuole la rielezione di Obama perché la posizione di Romney è molto più aggressiva nei confronti della Cina. Le dichiarazioni del candidato repubblicano di tenere “mano dura contro la Cina” – nel caso fosse eletto presidente degli Usa – per proteggere il lavoro e il benessere dei cittadini americani, sembrano pura retorica ma nel dubbio è meglio non rischiare.
 
La Banca popolare cinese sta aiutando Obama nel prossimo dibattito con Romney che si terrà la sera di questo martedì a Hempstead, New York, dandogli argomenti sul successo della pressione per la valuta dello yuan. Sono anni che Obama esige alla Cina che sia fermata la fluttuazione dello yuan, anche se nel discorso dello scorso maggio davanti al Congresso il presidente americano ha scelto di non accusare all’economia cinese di essere manipolatrice delle monete. Adesso ha l’opportunità di dire: ve lo avevo detto che funzionava.
 
Per Camilla Sutton, analista della banca canadese Scotiabank, la mossa cinese favorisce senza dubbi l’attuale presidente americano: “Uno yuan più forte sarà positivo per Obama durante il prossimo dibattito, mentre Romney sarà costretto a rallentare la retorica che accusa la Cina come una manipolatrice della moneta”.
 
Mitt Romney e il suo numero due, Paul Ryan, sono stati molto duri nel puntare il dito contro la politica di Obama verso la Cina. Avevano chiesto al Dipartimento del tesoro di includere la Cina nella lista dei paesi che manipolano la valuta di cambio, il che porrebbe più difficoltà ai prodotti cinesi per entrare nel mercato americano.
 
L’aiuto cinese non è gratuito, però. Sempre secondo Le Monde, per ripagare Washington dovrà rinviare la pubblicazione del rapporto biennale sulle politiche dei tassi di cambio; una relazione che doveva aprire la strada alle sanzioni contro Pechino per la manipolazione della valuta.


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