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L’esercito Usa ad un bivio

Il dibattito presidenziale sui tagli al budget alla Difesa si è concentrato molto sui progetti più rappresentativi della proiezione di potenza americana, in particolare su aeronautica e marina. La polemica sull’F-35 non ha risparmiato, infatti, la stessa Washington e le correnti del Pentagono. Tuttavia gli Stati Uniti non difendono i loro interessi solo presidiando le vie aeronavali, ma anche mantenendo un esercito professionale altamente qualificato e specializzato nelle battaglie di terra.
 
Prevalentemente terrestre era l’aliquota difensiva schierata sull’Elba durante la Guerra fredda; e terrestre era anche la dottrina d’impiego relativa, caratterizzata dalla necessità di garantire l’attrito necessario, con contrattacchi locali, su tutta la linea in caso di attacco sovietico. Con queste premesse, e oltre cinquant’anni di studi delle dinamiche belliche della fanteria su un fronte privo di difese naturali, non sorprende che l’esperienza europea abbia forgiato le menti dei principali strateghi. Anche oggi, infatti, al vertice della catena di comando della Us Army ci sono tipicamente generali che hanno prestato servizio in Europa prima di partire per le missioni in Iraq ed Afghanistan.
 
Mezzi adattabili
Il fatto che un elemento tattico chiave del teatro europeo come il carro armato pesante Abrams abbia potuto essere impiegato con successo nelle guerre asiatiche, testimonia della capacità pianificatrice dei gruppi industriali e tecnologici Usa. Attualmente, General Dynamics sta curando la reingegnerizzazione dell’Abrams, un progetto da quasi 400 milioni di dollari che si concluderà nel 2017, con un’ottica di impiego al 2030. Il ciclo di vita dell’Abrams traguarda però questa scadenza e guarda addirittura al 2050. Quest’ottica potrebbe essere adottata anche su altre piattaforme, e in particolare sui veivoli tattici che hanno subito le maggiori perdite durante le operazioni in Afghanistan ed Iraq, a causa dei cosiddetti Ied (Improvised explosive devices). Un orizzonte temporale trentennale è quello che ha chiesto anche Heidi Shyu, il nuovo direttore degli acquisti della Us Army.
 
Intreccio tra aeronautica ed esercito
Heidi Shyu proviene dal Comitato scientifico della Us Air force, di cui è stata presidente dal 2005 al 2008, ed è legata per biografia ad una serie di progetti (Joint strike fighter, Uav) e aziende del complesso aereonautico. In particolare è stata vicepresidente delle strategie tecnologiche di Raytheon, leader mondiale dell’avionica e dei sistemi di C3 (comando, controllo e comunicazione), con esperienze in Grumman e Hughes Aircraft. Si può notare da una parte l’intreccio tra posizioni ed interessi pertinenti a varie armi, dall’altra la coincidenza dei 30 anni, l’arco di tempo in cui prenderà corpo la sfida militare cinese nel Pacifico secondo la maggior parte degli osservatori.
 
Come cambia la battaglia terrestre
Entra qui in campo il fattore strategico sottostante ad ogni valutazione dei sistemi d’arma. In un report sui veicoli tattici dello scorso marzo, il Center for strategic and budget assessment (Csba) afferma che aumenterà il costo della protezione delle basi e delle linee logistiche per il diffondersi e perfezionarsi delle armi G-Ramm (razzi, artiglieria, missili e mortai guidati), ma anche per il concentrarsi di grandi masse nelle città e dunque per la necessità di adattare la fanteria Usa ad impieghi di guerriglia urbana che non appartengono al suo Dna (l’esperienza di Falluja è ancora relativamente poco studiata). Non solo, il costo delle spedizioni terrestri è tale che non si può prescindere dagli alleati e dai loro standard operativi nel disegno e nella progettazione dei nuovi mezzi.
 
Mai più da soli?
Insomma, è probabile che i vecchi mezzi “in scadenza” (veicoli corazzati come il Lav-25 e l’M2/M3 Bradley anfibi come l’Aav-7, il multipurpose M113) e ancora indietro nel processo di sostituzione dovranno essere riprogettati pensando non solo al lunghissimo periodo, ma anche alle esigenze degli alleati. Non sarà facile per un complesso militare che, specie nella sua componente aeronavale, dimostra ancora una supremazia tecnologica tale da poter prescindere dagli apporti dei partner.
 
Una nota sul Csba
Il Csba, guidato dall’ex colonnello Andrew Krepinevich è un think tank idealmente legato ad Andrew C.Marshall, decano della strategia nucleare Usa e promotore della cosiddetta AirSea Battle o battaglia aeronavale. Si tratta di un concetto operativo che sembra tagliare fuori le forze di terra e i Marines e che ha sollevato proteste da parte di alcune correnti del Pentagono preoccupate dall’eccessivo costo, oltre che dalle reazioni cinesi. Nei prossimi mesi si alzerà il velo sul contenuto finanziario e progettuale di questa dottrina, e sarà allora possibile capire, anche dalle posizioni di questo pensatoio all’incrocio tra molte armi, se l’esercito Usa avrà veramente imboccato la nuova, difficile strada.
 

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