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La teoria dei giochi applicata al Palazzo

La teoria dei giochi è un ramo della scienza economica sempre molto affascinante.
L’oggetto di studio sono le situazioni di conflitto e come gli attori delle stesse agiscano razionalmente al fine di conseguire la massimizzazione dell’interesse individuale andando poi a configurare una nuova situazione di equilibrio collettivo.
 
Un’interessante applicazione può essere l’analisi della situazione politica in Italia e di come i protagonisti della stessa agiscono per massimizzare quello che ritengono essere il loro interesse. Il quadro è noto: i partiti politici italiani soffrono, chi più chi meno, di una grave crisi di legittimità dovuta a diversi fattori, che vanno da un’evidente incapacità di rappresentare gli interessi del Paese, figlia di incompetenza o di disinteresse nei confronti degli stessi che ha progressivamente allontanato i rappresentanti dai loro elettori cui si aggiunge il progressivo emergere di un’immoralità diffusa anche dovuta al totale fallimento dei meccanismi di selezione delle classi dirigenti.
 
Il risultato è che oltre metà dell’elettorato oggi non si sente rappresentato da nessun partito, creando una sacca di indecisione e non voto unica nella storia repubblicana italiana.
 
Giunti a questo punto i partiti si trovano di fronte a un bivio: fare un passo indietro modificando radicalmente i rispettivi organici mantenendo solo un´esigua minoranza di personaggi che hanno fatto parte della Seconda Repubblica da selezionare tramite meccanismi meritocratici (strada consigliata, per esempio, da Italia Futura in un recente editoriale) oppure resistere allo stremo nell’ottica della conservazione di classi dirigenti e privilegi.
 
Evidentemente la prima strada comporta il sacrificio della carriera di singoli personaggi che si troverebbero costretti ad abbandonare quella che è stata, in molti casi, l’unica attività della propria esistenza.
 
Ed è a questo punto che la teoria dei giochi trova applicazione (si tratta poi del dilemma del prigioniero che è stato utilizzato per spiegare la corsa agli armamenti durante la guerra fredda). Ciascun politico si trova davanti a due scelte: passo indietro o resistere. Semplificando il quadro, immaginando che il problema riguardi solo due politici, la combinazione delle due scelte è sintetizzabile in una matrice in cui il passo indietro determina l’uscita dalle istituzioni (contrassegnata con la X) ed il suo contrario la speranza di rimanerci (contrassegnata con la O). Immaginiamo che la scelta del politico 1 sia sull’asse orizzontale e quelle del politico 2 sull’asse verticale. (E´ possibile consultare la matrice nel documento allegato alla fine dell´articolo).
 
Se entrambe i politici facessero un passo indietro il risultato sarebbe l’uscita di scena di entrambi dalle istituzioni con la speranza di conservazione del partito (che acquisirebbe nuova legittimità perché i vecchi se ne sono andati e sono arrivati dei nuovi). Se uno solo facesse un passo indietro e l’altro rimanesse, quello che resiste beneficerebbe di una nuova legittimità del partito (figlia di un parziale rinnovamento dei ranghi) mentre il secondo uscirebbe dalle istituzioni. Se entrambe rimanessero, manterrebbero la speranza di rimanere attaccati alle istituzioni (a spese della immagine del partito).
 
La soluzione che massimizzerebbe l’equilibrio del sistema (il cosiddetto equilibrio di Nash) è quella in cui entrambi fanno un passo indietro, preservando la credibilità del partito di cui fanno parte che contribuirebbe al rinnovamento e acquisirebbe una nuova verginità agli occhi dell’opinione pubblica (che può essere strumentale a qualche nuova iniziativa anche nell’interesse individuale dei due dimissionari). In realtà per ciascuno dei due politici la soluzione ideale è quella di rimanere a spese dell’altro (l’ottimo paretiano). Il che fa si che si arrivi al paradosso che nessuno dei due potrebbe fare un passo indietro, aumentando la delegittimazione del partito.
 
È quest’ultima la strategia che i partiti sembrano sinora perseguire. La resistenza in Parlamento nei confronti dell’approvazione di una legge elettorale che importi nel sistema elementi di mercato (quali ad esempio l’uninominale maggioritario), la ricerca di nuovi simboli per vestire di nuovo il vecchio (quale il concetto di lista civica composta da vecchi rappresentanti) e la resistenza nei confronti di dimissioni anche di fronte a scandali che mettono a nudo la totale assenza di etica e di capacità di selezione delle classi dirigenti non sono altro che sintomi del fatto che ciascun politico persegue il proprio interesse singolo a spese di quello collettivo.
 
Peccato che l’interesse collettivo non sia solo la speranza di mantenere un minimo di legittimità nel partito ma quello del Paese nel suo complesso che rischia di vedere aumentare la fascia di indecisi che, potenzialmente, possono essere preda di chi utilizza argomentazioni populiste e demagogiche per conquistare consensi determinando una situazione di instabilità letale per il Paese.
 
Ma purtroppo, visto il livello dei nostri politici, si fa fatica a sperare che l’equilibrio di Nash prevalga sull’ottimo paretiano. Ed il Paese pagherà le conseguenze.

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