Il colligiano Giovanni Bocci, colonnello del Corpo di commissariato dell’Aeronautica militare, è stato eletto dal personale dell’Arma Azzurra presidente del Consiglio centrale di rappresentanza, l’organismo di tutela dei militari previsto per legge: la Costituzione esclude per questi, unico caso per tutti i cittadini, la possibilità di associarsi o costituire organizzazioni sindacali.
Il Consiglio formula pareri, proposte e richieste su tutte le materie che formano oggetto di norme legislative o regolamentari sulla condizione, il trattamento e la tutela del personale.
La sua funzione è particolarmente rilevante in questo momento che lo Stato è soggetto a una profonda revisione e le Forze Armate sono investite da tagli di personale discendenti dalla spending review, dalla riforma strutturale e dalla riforma delle pensioni.
Bocci è ufficiale da trenta anni, essendo entrato in Aeronautica dopo la laurea in giurisprudenza all’Università di Siena e ha svolto molteplici incarichi di comando e direzione in tutta Italia, d’insegnamento di materie giuridiche nelle scuole militari nonché missioni operative in Kossovo e Afghanistan. Formiche.net l’ha intervistato.
Spending review, riforme strutturali: che cosa sta succedendo nella Difesa?
Anche il comparto Difesa, che come noto è unito a quello della sicurezza, è interessato da riforme che potremmo definire strutturali. Per il ruolo che rivesto posso parlare con cognizione unicamente di quanto attiene al personale, al suo trattamento economico e previdenziale ma soprattutto di come sono vissute tali riforme dallo stesso personale. E’ indubitabile che anche il comparto, al pari degli altri settori della P.A, ha la necessità di ammodernarsi e adeguarsi alle esigenze scaturite dalla attuale crisi. Appare logico che Forze Armate pensate in contesti economici e finanziari totalmente diversi dagli attuali debbano modificarsi, restringersi e ricercare una maggiore efficienza anche con risorse ridotte. Ma come rispose il giudice sovietico, durante il processo di Norimberga, al difensore dei gerarchi nazisti, che sosteneva la logicità delle azioni degli stessi, logico non vuol dire giusto. I progetti di riforma, sia quello concernente il sistema pensionistico che la riduzione degli organici, non possono che essere oltre che logici anche giusti.
La riforma delle pensioni ha riguardato tutto il personale della P.A., perché dovrebbe essere diversa per il comparto difesa e sicurezza?
Io non parlerei di diversità ma di specificità. Che il comparto sia specifico è riconosciuto a tutti i livelli, vedi l’ordine del giorno approvato da quasi tutte le forze politiche e che impegnava il governo in sede di armonizzazione del sistema pensionistico a tutelare tale specificità. Tuttavia la parola è risultata spesso vuota di contenuti, quand’anche in altri casi utilizzata come sinonimo di privilegio. Una volta per tutte occorre mettere in chiaro il suo vero significato. Che al personale del comparto siano compressi alcuni diritti costituzionali fondamentali dei cittadini è cosa nota, sia in tema di libera espressione del pensiero, di associazione e di sciopero, meno note sono invece caratteristiche dell’attività lavorativa discendente dalle peculiari funzioni affidate al personale del comparto, che giustificano il trattamento specifico di questi lavoratori rispetto a tutti gli altri del pubblico impiego. Nessun pubblico funzionario è soggetto a una mobilità come quella di militari e poliziotti (io personalmente ho già fatto sette trasferimenti) con conseguente disagio per il soggetto e soprattutto per le famiglie, a nessuno altro è richiesta una idoneità fisica continua per tutta la vita lavorativa pena la perdita del posto di lavoro (e le posso assicurare che a 55 anni non è per niente facile mettersi a correre per raggiungere i tempi prescritti), l’aggiornamento professionale poi non è solo un onere, ma una condizione indispensabile, prevista per legge, per gli avanzamenti di carriera (in linea con il detto popolare “non si finisce mai di studiare”), infine l’orario di servizio, una conquista degli anni novanta, che tuttavia non esime il personale del comparto dalla disponibilità totale, che si traduce spesso in attività lavorativa ben oltre i limiti dell’orario. Se poi a questo non esaustivo quadro delle peculiarità che connotano il rapporto lavorativo che lega gli uomini in divisa con lo Stato, si aggiunge il fatto che le forze armate e quelle di polizia, probabilmente, sono le organizzazioni italiane con la più alta incidenza di infortuni e decessi sul lavoro, appare chiaro non ci possa essere condivisione con coloro che fanno la semplice equiparazione tra pubblici impiegati e personale del comparto oppure stigmatizzano i diversi trattamenti come fossero privilegi.
Ma allora che cosa reputate “giusto” per la vostra specificità in materia di riforma pensionistica?
Premesso che il personale del comparto vuole contribuire al pari di tutti gli altri cittadini al necessario cambiamento e all’opera di risanamento dello Stato, una riforma giusta non può prescindere da alcuni punti fermi quali l’avvio della previdenza complementare, attesa da sedici anni e mai partita; in tutto il pubblico impiego e nella scuola sono operanti fondi pensione, mentre il personale più giovane del comparto ad oggi non ha la possibilità di integrare la propria pensione a regime contributivo puro con uno strumento previdenziale peraltro previsto dalla stessa legge di riforma pensionistica di metà anni novanta. In secondo luogo la riforma dovrebbe contenere un regime transitorio tale da consentire una graduazione degli effetti e la tutela del personale che si trova in situazioni personali variabili, infine la stessa riforma dovrebbe essere messa a sistema con la riduzione degli organici prevista sia dalla spending review che dal provvedimento presentato dal ministro per la ristrutturazione delle F.A.. Appare infatti singolare che da una parte sia allunghi la vita lavorativa del personale con l’innalzamento dell’età per la pensione e dall’altra si pensi a tagli di organici, con l’invio obbligato fuori dal servizio del personale più anziano, che per il combinato disposto delle norme si vedrebbe penalizzato sia dal punto di vista economico che di aspettative. Se come ha detto il presidente del Consiglio il personale del comparto rappresenta “il cuore dello Stato” non si comprende perché, quando si tratta di valutare le condizioni di vita lo stesso, il termine di giudizio diventi meramente ragioneristico. Questa scarsa attenzione per quanto attiene la Difesa probabilmente deriva da due fattori ascrivibili proprio alla peculiarità del comparto: da un lato l’assenza di funzioni, poteri e facoltà della Rappresentanza militare rispetto ad una componente sindacale, vietata per legge, dall’altro la notoria ritrosia del personale militare, che per il suo senso dello Stato e di responsabilità non esterna platealmente il proprio disagio, come altre categorie di lavoratori.
La sindacalizzazione del personale militare potrebbe quindi risolvere i problemi?
Personalmente non credo che nel contesto attuale la possibilità di costituire sindacati possa risultare la soluzione panacea a tutti i problemi di rappresentanza del personale militare. La funzionalità di un sindacato è la meta a cui si può aspirare, ma solo dopo un processo formativo delle coscienze che sia progressivo e tenga conto del vincolo comunque presente della ineliminabile struttura gerarchica dell’istituzione armata, siano poi realizzati alcuni passaggi ineludibili, quali il riconoscimento di un diritto di associazionismo generalizzato ed la Nazione riconosca ai militari lo status di cittadini a pieno titolo. A mio avviso una soluzione meno problematica potrebbe essere quella adottata in Germania e in altri paesi più avanzati. La costituzione di un’autorità di garanzia a tutela dei diritti del soldato potrebbe risolvere molti dei punti di contrasto oggi presenti: in quanto organo terzo e neutrale non sarebbe infatti condizionato dal rapporto gerarchico, ma allo stesso tempo non interferirebbe con la necessaria struttura gerarchica dell’istituzione. Ritengo che sarebbe opportuno uno studio in materia, confrontando le varie possibilità accennate e in vista di una non più rimandabile riforma della Rappresentanza militare.
Da molti settori della società civile è richiesta una riduzione dell’acquisto di armamenti, con particolare riferimento al velivolo F35. Il personale militare ritiene legittima tale richiesta ?
Non posso certamente interpretare il pensiero di tutto il personale militare, posso solo fare alcune considerazioni personali che però ritengo sarebbero comuni a molti uomini in divisa. In via preliminare bisogna distinguere tra la richiesta fatta da una certa fazione dichiaratamente antimilitarista da quella più contingente e motivata dalla attuale difficile situazione economica. Nel primo caso la risposta a tale richiesta, peraltro non nuova, presuppone una valutazione del popolo italiano sulla necessità di investire sulla sicurezza. Non è certo compito dei militari decidere la politica di difesa della Nazione. I militari possono solo indicare quali siano i mezzi e gli strumentinecessari e più efficaci per assicurare il livello di difesa voluto dalla collettività. Nel secondo caso bisogna stare molto attenti a non ridurre il dibattito alla famosa frase “ burro o cannoni”. Un sistema di difesa equilibrato e credibile non può prescindere dalle sue due componenti: uomini preparati e mezzi efficaci e moderni. L’assenza o la vetustà di una qualsiasi delle due inficia irrimediabilmente il sistema, con spreco di risorse e di energie. Voglio portare un esempio per rendere chiaro quanto ho detto. Negli ultimi venti anni, un poco per necessità un poco per pressione della società, le F:A. hanno esternalizzato molti dei servizi che prima venivano gestiti con risorse interne. Con il crescere dei costi e la riduzione delle risorse assegnate tali servizi oggi possonoessere esternalizzati con difficoltà, ma la professionalità prima presente non c’è più e sarebbero necessari anni per ricostruirla, quindi l’unica possibilità rimasta è quella di eliminare le esigenze, compromettendo però l’efficienza. L’argomento affrontato mi permette poi di riprendere il discorso sulla ristrutturazione in progetto. Siamo sicuri che Il taglio di organici previsto su criteri meramente anagrafici non comporti anche una perdita di professionalità in campi esiziali per l’efficienza? Quale sarà l’impatto di una riduzione dello strumento non guidata da valutazioni sull’impatto per la funzionalità?