Due sere fa è arrivata la decisione di Moody’s di “congelare” il merito di credito spagnolo al gradino più basso sopra lo status di “spazzatura” pur mantenendo prospettive negative, con la motivazione (che anche la vostra portinaia sarebbe riuscita ad elaborare) che la volontà espressa dalla Bce di comprare il debito sovrano spagnolo riduce il rischio di perdita di accesso al mercato dei capitali.
Perché Catalano non è solo un abitante della Catalogna, evidentemente. E anche le agenzie di rating sono sistemate. La Grecia, inoltre, continua a negoziare più o meno ritualisticamente con la Troika ma pare riuscirà ad avere i suoi aiuti in tempo per evitare l’Armageddon. E quindi crisi finita, buona serata e saluti a casa? Non proprio.
Intanto, la Grecia non appare solvibile e continuerà a non esserlo per molto tempo. Da qui conseguiranno nuovi allungamenti dei termini di rientro del salvataggio, per evitare di materializzare l’alternativa di un writedown, cioè di un abbattimento del valore dei crediti erogati finora dalla Ue ad Atene. La Spagna è e resta un paese a pezzi, con un sistema bancario quasi distrutto ed un altissimo rischio di disintegrazione statuale. Inoltre, il calo dei costi del debito, pur importante e destinato a proseguire, è ancora lungi dall’evitare che il rapporto debito-Pil si autoalimenti: quindi serviranno nuovi puntelli, di varia natura.
Un discorso analogo vale per il nostro paese: un avanzo primario importante ma un’economia bombardata, ampi cumuli di macerie per le strade e dentro le persone, ed altri che ne arriveranno, riforme strutturali assai poche, analogamente agli altri paesi. E questa costante dovrebbe servire a convincere tutti i sapientoni che per due anni hanno letto gli spread come sanzione alla dissipatezza fiscale vera e presunta di paesi riottosi, che in realtà tutto dipende dai flussi dei mercati finanziari, nel bene e nel male. Basti pensare che oggi abbiamo importanti asset manager globali, quali Pimco, che stanno cautamente rientrando sul debito spagnolo e italiano, sia sovrano che delle banche. Dio ti benedica, Mario D.
Chiariamo il punto: non siamo alla vigilia di un boom. I sistemi bancari restano in credit crunch, la domanda continua a latitare, i consumi delle famiglie sono morti, il mercato del lavoro è in condizioni tragiche e per rianimarlo serviranno robusti tagli agli stipendi nominali, magari indotti da cifre di disoccupazione inaudite. La pressione deflazionistica resta con noi, con buona pace di altrettanti sapientoni ottusamente germanofili che guardano l’indice dei prezzi al consumo e farneticano di rischi inflazionistici.
Il punto vero è che stiamo andando verso la cronicizzazione della crisi. Resteremo in Quaresima per molto tempo. Stapperemo una bottiglia di quello buono, solo per accorgerci che sa irrimediabilmente di tappo, quando vedremo il Pil crescere zero e non più decrescere.