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Un rapido sguardo alla Serbia

L’importanza del tema dell’occupazione a livello internazionale, casomai ci fosse bisogno di ribadirla, emerge anche dal dibattito Obama-Romney. L’attuale amministrazione viene accusata dai repubblicani di non aver fatto abbastanza per creare nuovi posti di lavoro e Romney promette dodici milioni di nuove posizioni in quattro anni. Il presidente americano lo accusa di voler soltanto diminuire le tasse ai ricchi e rilancia sullo sviluppo dell’energia verde. Mentre in Spagna lo Spread scende ai minimi da sei mesi restituendo la fiducia, come titolano in sintesi i giornali, in Italia, secondo i risultati di un’indagine pubblicata oggi da Repubblica, al di là della disoccupazione giovanile, si tirano le somme sul precariato che sarebbe del ventitre per cento per la fascia d’età compresa fra i venticinque ed i trentaquattro anni. La laurea, inoltre, conterebbe sempre meno.
 
Lontano dalla campagna elettorale americana e fuori dall’Europa, ma nella sua orbita, i primi di ottobre il premio Nobel Paul Krugman ha tenuto, a Belgrado, un seminario nel quale ha sostenuto che la Serbia, più di quanto stia già facendo, dovrebbe rifiutare le politiche restrittive europee e rafforzare i rapporti con Russia, Cina e Turchia. In quest’ottica il dinaro sarebbe, nonostante le preoccupazioni generali sulla sua inarrestabile svalutazione, sovrastimato. La tesi del rendere le esportazioni ancora più vantaggiose, come soluzione per rilanciare l’economia del paese, ha suscitato numerose reazioni negative, se non altro per via degli effetti che avrebbe a breve termine sulle condizioni di vita della popolazione.
 
Comunque vada per la moneta nazionale, la Serbia continua a vestire il tricolore. Al di là del caso FIAT, con la visita dello scorso aprile di Sergio Marchionne a Kragujevac durante la quale è stato inaugurato il nuovo stabilimento, sono tantissime le aziende italiane che si muovono verso il paese balcanico. L’Italia infatti è al primo posto, per numero di investimenti, nella lista della presenza straniera in Serbia. Il settore principale è quello tessile. Basta fare, per dare un’idea, i nomi di Golden Lady, Calzedonia e Benetton, ultima arrivata, con un accordo che prevede investimenti per oltre quaranta milioni di euro e l’assunzione di oltre duemila dipendenti. Un altro dato interessante, relativo all’italianizzazione della Serbia, è la presenza, nel paese, di Intesa-San Paolo e di Unicredit che detengono una quota di mercato del venticinque per cento. Per quanto riguarda il settore assicurativo invece la quota controllata dalle aziende italiane, Generali e Fondiaria-SAI, supera il quaranta per cento.
 
Nonostante le polemiche, fra le quali quelle relative alla violazione del diritto del lavoro serbo che prevede un certo numero di ore lavorative settimanali, in Serbia qualcosa si muove. Leggendo del grande impiego di denaro messo in campo negli ultimi anni, sia dalle aziende straniere che dallo Stato, sembrerebbe quasi in atto una piccola rivoluzione, ma le zone d’ombra, in realtà, sono molte. La politica portata avanti dal governo di favorire con decisione la presenza straniera non produce solo occupazione. Ha dei costi. E’ ovvio che a Belgrado abbiano fatto delle previsioni, ma i risultati, che sono legati, come nel caso delle vendite della nuova Cinquecento, alle condizioni internazionali, potrebbero non corrispondere ai calcoli. Le agevolazioni fiscali (ad esempio quelle sulle importazioni ed esportazioni esentate dai controlli doganali e dall’IVA) ed i contributi che il governo elargisce per ogni lavoratore assunto, fanno lievitare le spese e comportano dei tagli in altre direzioni. Insomma, non è tutto oro quello che luccica. La Serbia sta facendo una scommessa.
 
Intanto quest’estate è uscito un libro intitolato significativamente Me ne vado a Est. Imprenditori e cittadini italiani nell’Europa ex comunista, ed in un’intervista, Matteo Tacconi, uno degli autori, parla della Moldavia come del probabile prossimo Eldorado.
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