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Vademecum alla politica estera di Obama e Romney

Realismo o idealismo: questo il leitmotiv della prossima sfida presidenziale Usa? Oppure stanotte nel primo dibattito presidenziale sulla politica internazionale, l’ultimo della saga Obama vs Romney 2012, saranno di fronte due politici che hanno dovuto soddisfare esigenze diverse? Ma che ora, dibattendo degli argomenti principi del dialogo bipartisan di una nazione, assumeranno toni meno aspri e retorici?
 
L’auspicio del New York Times
 
Se cosi fosse Obama tra poche ore metterà da parte i toni puramente celebrativi dei propri successi in materia di sicurezza. A sua volta Mitt Romney dovrà dimostrare di essere in grado di dire qualcosa di diverso oltre ad accusare di debolezza il presidente. Se il confronto avrà presente che gli Usa alla fine sono ancora una potenza mondiale con interessi globali, al centro della discussione ci saranno non solo questioni come Libia, Iran, Siria e Medio oriente. Come da qualche giorno fa presente il New York Times Obama e il suo sfidante dovranno chiarire dimensioni, gittata e profondità dell’impegno americano in zone del pianeta diverse da queste.
 
Le differenze tra i due candidati
 
Il democratico ha concluso l’impegno Usa in Iraq e ha deciso la fine di quello in Afghanistan. Romney ha condiviso modi e tempi dell’uscita da KAbul, mentre ha valutato affrettato l’abbandono iracheno. L’alleanza con Israele non dovrebbe invece essere oggetto di collisione tra i due rivali. Questo indipendentemente dallo sviluppo del conflitto con Teheran che sembra andare verso la trattativa diretta tra i due paesi. Interessante a proposito sapere se Romney condivide l’opzione rivelata domenica dal Nyt,  osteggiata da lui e cercata più dai mullah che da Washington.

 
I successi di Obama
 
Tra i propri successi internazionali Obama potrà far valere il livello di indipendenza energetica raggiunto dagli Usa nei quattro anni della sua amministrazione. Gli Usa producono più idrocarburi, grazie a petrolio e gas bituminosi. Una rivoluzione delle fonti primarie con conseguenze interne e geopolitiche impossibili da sottovalutare. Primavera araba e stanchezza verso nuovi interventi bellici fanno capire che l’influenza Usa nella regione può aver raggiunto il suo punto massimo, vedasi l’esempio siriano. L’allargamento dei combattimenti al Libano e la conseguente destabilizzazione del paese dei cedri, potrebbero però rendere irrealistico questo proposito.
 
Le chance di Romney
 
Qui Romney potrebbe segnare qualche punto visto che, dall’opposizione, ha fatto spesso capire di essere pronto ad armare l’opposizione ad Assad. 
Il profilarsi della Cina come potenza globale che grazie al surplus commerciale aumenta il proprio peso militare vedrà certamente l’opposizione della Washington democratica e/o repubblicana.
 
La questione asiatica
 
Sul ritorno asiatico degli States non esistono dubbi tra asinello ed elefante. È una sorta di “controassicurazione” cui Washington è spinta dalle piccole e medie potenze regionali intimorite da conflitti territoriali cui Pechino tende a fare la parte di rubamazzo e dai toni nazionalistici usati dall’Impero di mezzo nella sua avanzata asiatica. Del resto l’importanza cinese impone cooperazione tra le superpotenze del XXI secolo e anche qui il consenso americano è bipartisan. Come ha ben evidenziato Hillary Clinton, il futuro della politica mondiale si decide in Asia e gli Usa sono intenzionati a restare al centro di una regione dinamica ma carica di conflitti. Gli europei dovrebbero chiedersi che fine farebbe in questo scenario l’alleanza transatlantica che sicuramente non è uno strumento del passato. Se il dibattito presidenziale dovesse toccare l’argomento Nato si può credere che tra presidente democratico e sfidante repubblicano vi saranno differenze di posizioni. La Cina è ovviamente la sfida maggiore per gli Usa, ma nessun leader Usa può chiudere gli occhi davanti allo sviluppo del mondo musulmano e ai potenziali pericoli provenienti dall’estremismo islamico.

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