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E dopo gli Usa, ora tocca alla Cina

Prima conferma alla vigilia del Congresso del Partito comunista cinese: Xi Jinping sarà nominato segretario generale. L´annuncio l´ha dato Cai Mingzhao, portavoce del Pcc, in conferenza stampa, chiarendo alcuni punti sull´appuntamento che incoronerà la leadership cinese del prossimo decennio. Rispetto alle ipotesi circolate nelle scorse settimane, sembra smentita la rimozione del pensiero di Mao Zedong dallo Statuto del Partito. L´emendamento cui faceva riferimento l´ultimo comunicato del Comitato centrale uscente non riguarderà l´intelaiatura fondamentale del documento fondante del Pcc. Il Grande Timoniere e il marxismo leninismo rimarranno accanto al socialismo con caratteristiche cinesi, alla teoria di Deng Xiaoping e alle tre rappresentatività di Jiang Zemin. La modifica potrebbe quindi essere una maggiore enfasi sullo sviluppo scientifico, contributo teorico del presidente uscente Hu Jintao, già entrato nello Statuto cinque anni fa, ma non ancora posto alla stessa stregua dei precedenti.
 
Nome di Xi Jinping a parte cui, salvo improbabili stravolgimenti, si affiancherà come premier Li Keqiang, per conoscere al completo i componenti del Comitato permanente del Politburo, vero vertice della politica cinese, bisognerà attendere il 14 novembre e la chiusura del Congresso.
Novità di questi giorni è invece la maggiore democrazia interna al Partito. Secondo quanto riportato dalla Reuters, si fa strada l´opportunità di indire vere elezioni per la scelta dei membri dell’Ufficio politico, il secondo livello della scala gerarchica del Pcc. Nessun suffragio universale sia chiaro. Composto da 24 membri il Politburo sceglie il Comitato permanente ed è a sua volta nominato dal Comitato centrale cui spetterebbe ancora la decisione.
 
Fino a ora si trattava più che altro di ratificare scelte già prese. Il nuovo sistema di cui parla l´agenzia britannica prevede invece che il numero di candidati superi quello dei seggi in palio. Non si sa ancora di quanto, forse del 20%, con una riforma che, dicono gli osservatori, garantirebbe maggiore legittimità all´organismo.
Intanto da un sondaggio pubblicato sul Global Times, tabloid spin off del Quotidiano del popolo, emerge come otto cinesi su dieci vogliano riforme politiche. Il significato di riforme è però diverso da quello che si intende in Occidente. Per gli intervistati significa dare ai cinesi e alla stampa l´opportunità di vigilare sull´operato del governo. Non a caso, chiedono maggiore trasparenza e lotta alla corruzione, percepita come uno dei mali della Cina contemporanea e citata anche nella conferenza stampa d´apertura del “grande diciottesimo”.
 
“Le vicende di Bo Xilai e Liu Zhijun si sono verificate ai massimi livelli del Partito e si tratta di casi di corruzione estremamente seri, dai quali la Cina ha imparato una lezione profonda” ha detto Cai, riferendosi all´espulsione dell´ex ministro delle Ferrovie, accusato di corruzione, e di Bo, catalizzatore delle forze neomaoiste ora caduto in disgrazia e in attesa del processo che lo vedrà imputato per abuso di potere e altri reati, nel più grave scandalo politico che ha investito il Paese da decenni.

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