Si è chiuso oggi a Pechino il 18esimo Congresso del Partito comunista cinese. Tutto come previsto, almeno per il momento. Gli oltre duemila delegati hanno nominato i 205 componenti effettivi del nuovo Comitato centrale (e i 170 membri a rotazione). Nelle nomine spiccano, come previsto, Xi Jinping, segretario designato, e Li Keqiang, che a marzo, salvo improbabili imprevisti, prenderà la poltrona di Wen Jiabao nel ruolo di premier.
Scarsa, notano i commentatori, è la presenza femminile. Le donne sono appena 10 su oltre 200 e in calo rispetto alle 13 del Comitato centrale uscente. Dieci sono anche i rappresentati delle minoranze nazionali. Dato messo ancora più in risalto se non si dimentica che tutta la durata del Congresso è stata segnata dalla più grave serie di autoimmolazioni tra i tibetani, portando a 72 il bilancio di quanti hanno deciso di darsi fuoco in segno di protesta contro l’occupazione cinese. Con in più gli attacchi della stampa cinese contro il Dalai Lama, in questi giorni in visita in Giappone, quando tra Tokyo e Pechino è ancora al centro dell’attenzione la disputa territoriale per il controllo delle Senakaku/Diaoyu.
Bisognerà invece attendere ancora 24 ore per conoscere i nomi che comporranno il vero cuore del potere in Cina, il Comitato permanente. Il toto-nomine impazza tra gli osservatori. Di oggi è la pubblicazione di una lista completa che elenca nomi e posizioni per grado di importanza sia dei sette presunti componenti del Comitato centrale sia dei 25 membri dell’Ufficio politico. La lista è stata diffusa dal Financial Times, che si chiede se ci si trovi davanti al segreto peggio custodito della Cina, con qualcuno che deliberatamente ha fatto trapelare l’elenco fuori dai corridoi di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, o se al contrario sia tutta una bufala.
La lista è sicuramente verosimile e in linea con altre rivelazioni dell’ultimo periodo. In cima i due nomi certi di Xi e Li. Segue Zhang Dejiang, segretario del Pcc a Chongqing, in sostituzione del deposto Bo Xilai, ed economista formatosi in Corea del Nord, forse contraltare al “liberale” Wang Yang, capo de Pcc nella ricca provincia del Guangdong, escluso ma prima dato per papabile. Brutte notizie invece sul fronte della libertà in rete se domani sarà confermata la nomina di Liu Yunshan, potente capo della Propaganda. Completano la lista Zhang Gaoli, leader nella dinamica municipalità di Tianjin e Yu Zhengsheng, numero uno del Partito a Shanghai, cui il legame con il figlio di Deng Xiaoping risparmiò ripercussioni quando il fratello, all’epoca una spia, scappò negli Usa a metà degli anni Ottanta. Completa in coda Wang Qishan, l’uomo che risolve i problemi gradito agli investitori.