Alla giostra politico-militare che da giorni ruota attorno alla Siria per tentare la fine delle violenze nel Paese mediorientale non corrispondono passi avanti dell’opposizione al regime di Assad nel darsi una struttura credibile. Approcci mediatici della Lega araba, sforzi diplomatici britannici e la volontà umanitaria vaticana avrebbero bisogno di una controparte effettiva nel Consiglio nazionale siriano che invece continua a girare a vuoto. Nei tre giorni di Doha, l’Snc ha cercato di nascondere la propria impotenza raddoppiando il numero di sigle che si riconoscono nell’organizzazione principale degli esiliati del Paese mediorientale. La struttura tenta di darsi la nuova leadership cosa che fino a ieri non era riuscita. Il Consiglio vuole ribattere così alle critiche internazionali secondo cui il Cns non sarebbe rappresentativo delle forze che combattono dall’interno la dirigenza siriana. Oggi dovrebbe entrare in scena l’Iniziativa nazionale siriana, un organizzazione sponsorizzata da Riad Seif, dissidente della prima ora.
Da Doha, Al Jazeera afferma che il processo per dare nuovi leader all’opposizione è in corso ma questo “non cambierà l’essenza del problema”, la “debolezza” con cui viene percepito il Cns. Non sembrano, dunque, trovare destinatari credibili gli appelli della Lega araba che pure parla di fine imminente di Bashar al-Assad. Opportunamente il responsabile dell’organizzazione, Nabil al-Araby, pressa gli organizzatori della conferenza nella capitale del Qatar a “mettere da parte al più presto le differenze”. Parlando con i giornalisti al Cairo, Nabil ha sottolineato l’importanza di “dimostrare l’esistenza di una opposizione unificata” visto che, ribadisce il capo della Lega, “tutti sanno che il regime siriano non resterà ancora a lungo in piedi”. Anche i quattro punti della risoluzione politica cinese a sostegno degli sforzi di pace dell’inviato Onu Brahimi, avrebbero bisogno di una opposizione in grado di svolgere un ruolo visibilmente costruttivo.
Sforzi turchi e britannici
Gli sforzi unitari della dissidenza a Damasco si svolgono mentre Turchia e Gran Bretagna avanzano proposte che potrebbero spostare il baricentro dell’azione internazionale verso l’approccio militare. Presente nella regione, ieri il primo ministro di Londra Cameron ha visitato quello che in futuro dovrebbe essere un campo profughi nel nord della Giordania. Il premier britannico ha affermato di voler trattare direttamente con i ribelli. È stata invece smentita da William Hague la disposizione a rifornire la resistenza con materiale bellico. Ankara, da parte sua, vuole che la discussione alla Nato prenda in considerazione la dislocazione di missili Patriot in funzione anti balistica per proteggere territori interni alla Siria. Una questione che ricorda molto il corridoio umanitario protetto invocato dal Paese anatolico sin dalle prime battute del conflitto civile in Siria.
Gli aiuti vaticani
Non è invece andata a buon fine l’iniziativa umanitaria del Vaticano, annunciata il mese scorso dal segretario di Stato card. Bertone. “Diverse circostanze e sviluppi” non hanno reso possibile l’iniziativa in Siria. Ieri è stato Benedetto XVI a darne l’annuncio. Il pontefice ha comunicato di aver affidato al card. Robert Sarah, una missione speciale. Il porporato si recherà in Libano, dove incontrerà pastori e fedeli delle chiese presenti in Siria. Alle istituzioni caritative cattoliche verrà donato un milione di dollari. Il denaro raccolto durante il Sinodo dei vescovi a scopo umanitario contiene anche un contributo del pontefice.
La posizione russa
Mosca ritiene che il conflitto siriano finirà solo con l’esaurimento delle parti in lotta. “Assad non se ne andrà”, ha sottolineato Lavrov affermando che il leader di Damasco non accetta nemmeno di discutere l’argomento. In una intervista trasmessa giovedì su You Tube dal Mae federale, il ministro ritiene che nemmeno l’opposizione sa fare altro se non affermare di voler “combattere fino alla fine”. Il diplomatico ritiene che Occidente, opposizione e regime siriano vogliano a ogni costo la vittoria, in una situazione che invece rende impossibile la decisione militare. Una valutazione che secondo il ministro degli Esteri condivide anche l’inviato speciale Onu, Lakhdar Brahimi.