La vittoria di Barack Obama? È la vittoria del Big Government. A sottolinearlo è un editoriale del New York Times che fa il punto di un dibattito che percorre gli Stati Uniti dagli anni della presidenza Reagan. Una contrapposizione tra chi vuole più Stato e chi vede invece l’azione della mano pubblica come il peggiore dei mali. Un dibattito cui probabilmente l’uragano Sandy e le capacità di organizzare la risposta sociale da parte dell’amministrazione Usa hanno messo un punto. Ovviamente temporaneo.
Il ripudio dei valori reaganiani
Il giornale Usa ritiene la vittoria di Obama il ripudio dei valori reaganiani. Forse pecca di ottimismo. Nei periodi di crisi l’azione dello Stato è sempre benvenuta. A chi rivolgersi altrimenti? Nei tempi di vacche grasse invece tutti vogliono fare da soli. Pagando meno tasse ovviamente. Basti pensare alla querelle che ogni tanto ritorna sul new deal rooseveltiano. Economia “socialista” che non possiede alcun merito nell’uscita Usa dalla recessione, per i teorici della libertà assoluta. I meriti vanno invece alla guerra e al riarmo da essa generato. Come se non ci fosse mano pubblica più invadente di quella che dirige gli sforzi bellici di uno Stato.
Il baricentro della vittoria obamiana
La tesi della fine dei “valori” reganiani, per il giornale Usa è provata dal fatto che il “pesante” baricentro della vittoria, Obama lo abbia costruito sulla “cintura industriale” del Mid West americano. Gli elettori si sono detti d’accordo con gli argomenti presidenziali secondo cui il governo deve svolgere un ruolo nel sostenere la creazione di posti di lavoro anche nel settore privato in modo da rafforzare l’economia sociale.
Il caso dell’Ohio
In Stati come l’Ohio Obama ha salvato dal crollo l’industria automobilistica locale e ha vinto. Romney la voleva far fallire. E ha perso. Ovviamente il salvataggio ha funzionato, altrimenti avrebbe perso Obama. Altrettanto è successo in Pennsylvania con la disoccupazione, afferma il quotidiano. Gli elettori che ritenevano questa una preoccupazione hanno votato in massa per Obama.
Il fattore immigrazione
Fatale a Romney è stato anche l’annuncio della politica del pugno di ferro sull’immigrazione, secondo il New York Times. La risposta latina nelle urne è stata immediata e massiccia. Condividere parole d’ordine come deportazione, esaltare la durissima legge sull’immigrazione dell’Arizona hanno reso impervio il cammino di Romney in Florida e in altri Stati indispensabili alla vittoria. Due terzi della popolazione sostiene vie legali nei confronti di residenza e cittadinanza. Se i repubblicani non cambiano approccio su questo argomento, pagheranno un caro prezzo in futuro.
La riunificazione operata da Barack
Nessuno dice che Obama vincendo abbia riunificato il paese. Non lo fa nemmeno il Nyt che come altri analisti e media vede le spaccature della nazione. Ricchi contro poveri ma non solo. Le linee della frattura americana sono tante e passano per voto, età, religione, razza e sesso.
Il voto degli afroamericani
L’afro-americano ha appoggiato Obama. Il mormone Romney ha trovato consensi tra chi si oppone ai matrimoni omosessuali, vuole norme anti aborto e appoggia la deportazioni di massa degli immigranti. Nessuna di queste posizioni è maggioritaria negli Usa.
Gli altri errori di Mitt
Ha fatto cilecca anche la strategia di accusare Obama di ogni male mentre Romney al contrario avrebbe trasformato gli Usa nel paese della cuccagna dove la felicità aspetta solo di essere raccolta. Difficile tagliare il deficit senza aumentare le tasse, argomenta il Ney York Times.
I ricordi di Bush senior
Più che Obama la maggioranza degli americani ritiene Bush senior responsabile dello stato attuale dell’economia federale. E gli elettori lo hanno dimostrato nelle urne in un modo che forse il repubblicano non si attendeva.
Le vere preoccupazioni di chi ha votato Obama
Coloro che credono che bilancio familiare e disoccupazione siano maggiori problemi della nazione hanno votato per Obama. Chi al contrario vede le tasse come un carico insopportabile si è schierato con Romney. Solo il 35% dei cittadini non ritiene possibile aumentare le tasse, il 65% invece vede in questo un passo realizzabile a carico dei più ricchi o della collettività. Solo i primi hanno votato per Romney.
Le pecche di Romney
Gli americani vogliono cambiamenti economici per evitare peggioramenti nel proprio tenore di vita. Anche questo è un verdetto uscito ieri dalle urne. Romney ha invece presentato il deficit come il problema dei problemi. Un punto di vista che non ha persuaso i votanti. Solo il 10% condivide infatti l’approccio del repubblicano. A differenza dei militanti Gop, solo un quarto degli americani respinge la riforma sanitaria di Obama.
Il fallimento dei candidati estremisti
La vittoria nel Connecticut di Christopher Murphy su Linda McMahon per il seggio al Senato. Quella di Joe Donnelly su Richard Mourdock nell’Indiana e quella di Claire McCaskill su Todd Akin nel Missouri, mostrano come sia letale per i repubblicani presentare candidati estremisti. Lo scrutinio ha mostrato quanto gli elettori credano che l’aborto debba continuare a essere legale, mentre la metà degli americani non teme i matrimoni tra persone dello stesso sesso. All’unisono però tutti ritengono inscusabile ritardi e incidenti che in parti relativamente piccole del paese hanno impedito a un numero relativamente basso di persone di votare coma da programma.