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Per cortesia, rottamate l´Agenda Monti o affonderemo

Nell´agosto del 2011 l´Italia era stata bastonata duramente sui mercati per il debito pubblico eccessivo: perché come soleva ripetere Giulio Tremonti ha il terzo debito pubblico per grandezza ma non è la terza economia del pianeta. Il problema principale doveva essere quello di riequilibrare la finanza pubblica liberandosi di questa zavorra che ci portiamo dietro dagli anni 80. E invece, dopo un anno di sacrifici, le cose stanno andando molto peggio del previsto: l´Agenda Monti ci sta portando al tracollo.

L´outlook dell´Ocse, appena diffuso, prevede che in Italia alla fine di quest´anno il rapporto debito/pil arrivi al 127,8%; che salga ancora al 130,4% nel 2013 e che nel 2014 svetti al 132,2%. Un record assoluto, in contrasto con le previsioni del governo, appena riviste a settembre: secondo l´Ocse, c´è un peggioramento cifrato in 1,4 punti percentuali quest´anno, 3,3 punti nel 2013 e addirittura 7,1 punti nel 2014. In pratica, il rapporto debito pubblico/pil non solo non si stabilizzerebbe, e tanto meno calerebbe come pure ci siamo impegnati a fare con il Fiscal Compact, ma non fa altro che crescere. Il problema è l´andamento dell´economia reale, sempre negativo: di semestre in semestre, la ripresa è sempre rinviata. Ora si parla del 2014. Un disastro.

Il governo Monti ci ha cacciato nei guai perché nella strategia di risanamento finanziario ha seguito una ricetta vecchia, così come ha cercato di adottare riforme strutturali del tutto inadeguate. Primo errore: il riequilibrio strutturale del bilancio pubblico doveva eliminare il vero differenziale negativo, rappresentato dal costo degli interessi su un debito abnorme. E invece ha lasciato inalterato lo stock e aumentato strutturalmente le tasse, dall´Imu alle accise, all´Iva. In un sistema economico formato da piccole e medie imprese, sottocapitalizzate e che vivono di finanziamenti bancari a breve, si sono sommate le pressioni deflazionistiche sulle vendite interne con le tensioni finanziarie sulla liquidità aziendale derivanti dalla contestuale e ben nota difficoltà del nostro sistema bancario di mantenere costante la provvista sul mercato estero all´ingrosso: un errore colossale. In pratica, le aziende si sono trovate strozzate sia sul versante del mercato sia su quello della finanza. D´altra parte, a fronte di un maggiore onere fiscale, il recupero degli equilibri aziendali può avvenire in due soli modi: o tagliando i costi di struttura o aumentando il valore aggiunto con nuovi investimenti. Vista la tensione sul mercato del credito e la contemporanea contrazione della domanda interna finalizzata al riequilibrio delle partite correnti, le imprese hanno cominciato a tagliare e poi chiudere: fine del film, ma soprattutto dell´occupazione e del pil!

Altro errore: si è confuso il riequilibrio della bilancia commerciale con quello della bilancia dei pagamenti, dimenticando che ciò che penalizza fortemente l´Italia sono le rimesse degli immigrati, le partite invisibili pagate all´estero dalle società che hanno sedi diverse per il mondo, gli oneri per il debito pubblico detenuto all´estero e i finanziamenti netti. Non è certo l´aumento del prezzo della benzina alla pompa che riduce questi flussi. La teoria della deflazione competitiva si è dimostrata una bufala.

Terzo, e ancora più fondamentale errore: mentre il governo Ciampi, chiamato in un momento di emergenza, aveva basato la politica dei sacrifici sulla strategia della concertazione con le parti sociali, una sorta di scambio tra moderazione salariale e partecipazione dei sindacati e della Confindustria alle scelte di politica economica, il governo Monti ha approfondito lo scontro all´interno delle rappresentanze sociali e produttive, mantenendo sostanzialmente intatta la spesa pubblica improduttiva e la presa della politica sul sistema produttivo, al centro e in periferia. Si è appoggiato a una sostanziale unanimità politica e parlamentare per far passare una serie di leggi che impoveriscono gli italiani e costringono le imprese a licenziare, se non a chiudere. Più che un´agenda delle cose da fare, il governo Monti ci lascia un´eredità pesante. Da accettare con beneficio di inventario.



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