Il controllo parlamentare costituisce uno degli elementi fondamentali per il corretto funzionamento degli organismi di Intelligence nei sistemi democratici. L´Intelligence, però, è attività estremamente delicata e il controllo parlamentare, pur indispensabile, deve essere svolto senza mettere a rischio operazioni, fonti e metodi di lavoro dei Servizi stessi e senza che la funzione di controllo possa essere utilizzata come strumento di lotta politica e burocratica.
Come bilanciare, quindi, controllo e tutela del segreto? Come rendere effettiva la cosiddetta “accountability” dei Servizi senza danneggiare la sicurezza nazionale? La cosa non è affatto semplice e d´altronde l´esperienza internazionale offre differenti esempi (per una analisi precisa e puntuale si veda qui). In linea generale si può affermare che ogni Paese tende a organizzare il controllo parlamentare in base al proprio sistema costituzionale, alla propria cultura di governo, alle proprie tradizioni e… in base alle esperienze degli scandali che hanno coinvolto le proprie Agenzie di Intelligence (errori, deviazioni, fallimenti evarie illegalità).
Esiste, infatti, un legame diretto tra fallimenti (in senso lato) dei Servizi e attività di controllo (parlamentari e/o governative). Più gravi e pubblici sono i fallimenti dell´Intelligence, più gli Stati si organizzano per evitare che tali fallimenti si ripetano, anche attraverso un rafforzamento dei poteri di controllo dei Parlamenti. Nella convinzione che più effettivo è il controllo, più efficace sarà l´accountability dei Servizi segreti (e dei governi dai quali essi dipendono), più elevate saranno le loro prestazioni con minori rischi di fallimenti o deviazioni.
Se da un lato, quindi, come evidenziato, è necessaria estrema cautela nell´esercizio dei poteri di controllo parlamentare, dall´altro lato, però, bisogna evitare che il controllo sia meramente formale e si risolva in un´attività “notarile” (la commissione parlamentare si limita a prendere atto di quanto affermato dai funzionari dell´Intelligence) o esclusivamente “reattiva” (la commissione si attiva solo dopo gravi, e pubblici, episodi di malfunzionamento dell´apparato) o che la funzione di controllo venga adoperata esclusivamente come vetrina politica.
Le Intelligence del XXI secolo sono strutture altamente professionalizzate, veri e propri “sistemi” che svolgono compiti molto complessi oltre che indispensabili per la sicurezza degli Stati e per l´interesse nazionale. Affinché il controllo sia reale è necessario che esso venga svolto da organismi dotati, oltre che dei poteri di accesso alle informazioni (tramite audizioni, acquisizione di documentazione, ecc.), anche di una profonda conoscenza dei meccanismi di funzionamento dell´Intelligence e del contesto strategico nel quale il Paese opera. In altre parole, il controllore non deve dipendere dal controllato in quanto a conoscenza e know-how.
Come garantire tutto ciò nell´ambito di un comitato di controllo composto da parlamentari che, in quanto tali, non devono necessariamente essere esperti di teoria dell´intelligence o di affari strategici? La prassi internazionale ci viene in aiuto (il caso americano è il più conosciuto ma non l´unico): tramite un continuo, e non episodico, accesso ad expertise di alto livello, indipendente (sia politicamente che burocraticamente), nazionale ed estera, in grado di tenere costantemente aggiornati i componenti del comitato con informazioni di buona qualità. Ciò però anche se importante non è sufficiente.
Come evidenziato dalle best practices internazionali, è buona norma che il comitato stesso sia dotato di risorse umane, oltre che economiche, in linea con i compiti che deve svolgere. Uno staff composto non solo, com´è ovvio, da personale amministrativo ma anche da esperti di intelligence in grado di analizzare con professionalità le articolate attività dei Servizi.
Claudio Neri
Direttore del Dipartimento di Ricerca dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “N. Machiavelli”