Per evitare trionfalismi eccessivi sulle magnifiche sorti e progressive dell’obamismo, bisogna far visita all’Istituto Bruno Leoni, noto e rinomato pensatoio liberista. Qui il direttore generale Alberto Mingardi si stupisce dell’enfatico stupore per la rielezione di Barack Obama.
Quindi anche lei, come Alberto Alesina a Luigi Zingales, auspicava una vittoria di Romney…“Io non voto né vivo negli Stati Uniti, quindi di mere simpatie si tratta – dice Mingardi in una conversazione con Formiche.ne t– Le mie simpatie andavano, senza grosso entusiasmo, a Romney”. Avevamo intuito bene dunque… “Mi lasci spiegare lo scarso entusiasmo: credo che Romney sia una delle persone più qualificate di sempre a correre per la Presidenza degli Stati Uniti. È stato un eccellente imprenditore e investitore, ha gestito benissimo le Olimpiadi invernali di Salt Lake City, è stato un governatore repubblicano molto amato in uno Stato tradizionalmente democratico. Il Presidente Usa è un “decisore”: è il decisore politico più importante del pianeta. Romney ha uno strepitoso curriculum di decisore: se fossero gli head hunter a scegliere l’inquilino della Casa Bianca, ci sarebbe finito lui”.
Obama l’ideologo
Però il popolo ha preferito il presidente democratico. “Obama è stato un Presidente con convinzioni, con una ideologia, straordinariamente nette. Questo ha fatto sì che gli Usa avessero una campagna elettorale centrata su questioni fondamentali: quanto Stato volete?”. Un terreno fertile per idee liberiste… Mingardi non concorda: “Per questa campagna elettorale, Romney -che è un pragmatico gestore, non una persona di idee – era in tutta evidenza il candidato sbagliato”.
L’incumbent che vince
L’intellettuale liberista rifugge dall’analisi che cerca di individuare nell’economia, nei diritti civili o in un mero pragmatismo obamiano il fattore decisivo della riconferma del presidente democratico: “Il punto di forza di Obama? Il fatto di ‘esserci’”. Cioè? “C´è una ragione se l´incumbent vince quasi sempre. Il Presidente americano è la figura politica più visibile e più conosciuta del pianeta. Capita rarissimamente vincano i new comer: è capitato con Carter, ma il new comer era Reagan, il “grande comunicatore”. È capitato con Bush sr, ma c´era la candidatura di disturbo di Ross Perot e il candidato democratico era il ben più giovane e fascinoso Bill Clinton”. Mingardi così arriva a sostenere che “Obama non è una eccezione nel momento in cui viene rieletto: lo sarebbe stato se avesse perso!”.
Lo sforzo dei Tea Party
Comunque Romney avrà avuto dei punti di debolezza. Radicalismo religioso? Liberismo appannato, come ha detto Bellasio a Formiche.net? Paul Ryan messo in ombra? “Romney – spiega il direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni – ha dovuto recitare una parte non sua: ha corso su una piattaforma orientata a imporre nell´opinione pubblica parole d´ordine fortemente «conservatrici» non essendo lui un acceso conservatore. Lo sforzo dei Tea Party è stato in una certa misura premiato: Obama ha rassicurato gli elettori sulle questioni di finanza pubblica e si è spostato più sul centro, mordendosi la lingua ogni volta che era necessario. Alcuni temi (a cominciare dal cambiamento climatico e dal secondo emendamento) sono usciti anche dall’agenda dei democratici. Lo sforzo egemonico dei conservatori, per così dire, non è andato fallito”. Ma la visione prevalente è che i Repubblicani debbano rinnegare l´estremismo anti-spesa di questa campagna elettorale… “Ancor più che negli anni scorsi, nei prossimi due la partita si giocherà tutta su questioni di finanza pubblica. Sarebbe suicida per i Repubblicani ammainare la bandiera del ´meno spesa´, che solo grazie ai Tea Party sono riusciti a fare di nuovo propria, dopo George W. Bush, il Presidente più spendaccione dai tempi di Lyndon Johnson”.
Gli immigrati negletti
Per Mingardi è piuttosto la questione immigrazione una vera debolezza del Gop: “I repubblicani devono chiedersi perché non riescono a parlare a elettori che dovrebbero essere i più accesi sostenitori dell´idea di mantenere inalterati i contorni del «sogno americano»: gli immigrati ispanici, per esempio. È una follia lasciare il voto degli immigrati a un partito che si fa forte del supporto dei sindacati, che all’immigrazione vogliono chiudere la porta per tutelare i loro iscritti, per esempio”.
Dunque la questione religiosa è secondaria?
“Romney non è un fondamentalista religioso, ma il tentativo di attivare il voto degli evangelici stavolta ha forse nuociuto al partito repubblicano. Che però non riparte da zero: riparte grosso modo da metà del voto popolare, conquistato contro un Presidente uscente che quattro anni fa era il messia ed oggi è un essere umano”.
I progetti di Obama non condivisi
Quindi con la rielezione di Obama possiamo dire che ha vinto il pragmatismo e il moderatismo. Mingardi concorda, anzi no… “Obama è il diavolo che conosciamo, ma è stato un presidente «ideologico». È curioso sentire biasimare il «radicalismo» dei Tea Party da chi non si chiede come mai quel radicalismo si sia originato. I Tea Party rappresentano una reazione eguale e contraria ai provvedimenti del Presidente, a cominciare dalla riforma della sanità. Obama dovrebbe avere imparato a conoscere le dinamiche del «governo diviso»: ma a differenza di Clinton non è riuscito a togliere spazio ai repubblicani reinterpretando a suo modo la domanda politica che essi vanno a incontrare. Non c’è riuscito perché ha delle convinzioni e ha cercato, coi compromessi inevitabili nel mondo reale, di realizzare un suo progetto per il Paese. Questo progetto in America non è un progetto condiviso: questo è un fatto. I suoi avversari non hanno saputo articolare una visione alternativa più convincente. Questo è un altro fatto.
Il ruolo del bailout del settore auto
Ieri il New York Times ha scritto che Obama ha vinto grazie anche al bailout del settore auto… “Mi sembra una stupidaggine. A meno che non si voglia dire che Obama è stato votato dagli stati «beneficiari netti» delle sue spese pubbliche, e avversato da quelli che hanno pensato di doverne pagare il conto. Ma questa è la politica: se le cose non andassero così, che si spenderebbe a fare?”.
Il sostegno della Fed
Condivide l´idea secondo cui l´economia americana si è giovata più della Fed che delle politiche economiche governative? “Non mi sembra che la Fed sia stata «neutrale» rispetto all’esito delle elezioni: le politiche di Bernanke servono essenzialmente a mettere la polvere sotto il tappeto, e questo finisce per favori.