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Quel dissenso celato tra Gramsci e Togliatti

La lettura e lo studio del pensiero politico di uno dei maggiori pensatori, icona del Novecento, il comunista-ateo, Antonio Gramsci, ripresi recentemente a un ritmo vertiginoso e con una passione mai scemata, sono oggi profondamente mutati. Sia per la disponibilità di carte, materiali, argomenti nuovi e relative interpretazioni, venuti alla luce tra gli anni Settanta e dopo il crollo del Muro di Berlino. Sia perché, rispetto al passato, all’epoca cioè della pubblicazione dei ‘Quaderni del carcere’ e delle ‘Lettere’, subito dopo la Liberazione, è nettamente cambiato il clima politico e quindi l’approccio al fondatore dell’Ordine Nuovo e del Pci.
 
“Oggi non ci sono più il filtro e gli occhiali deformati di Palmiro Togliatti: è stato un fatto rilevantissimo che Togliatti abbia promosso la diffusione e la conoscenza del pensiero di Gramsci, ma lo ha fatto come meglio gli faceva comodo”, osserva Carmine Donzelli, editore e curatore del libro “Antonio Gramsci. Il Moderno Principe. Il partito e la lotta per l’egemonia”. Si tratta del Quaderno 13, ‘Noterelle sulla politica di Machiavelli”, il cuore del pensiero e della teoria politica. Un libro che segue a ruota quelli di Giuseppe Vacca “Vita e Pensieri di Antonio Gramsci” (Einaudi editore), di Franco Lopiparo, “I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista” (Donzelli editore) e di Luciano Canfora, “Gramsci in carcere e il fascismo” (Salerno editore).
 
Fu Togliatti che, avendo in mano tutte le carte, avviò, dopo la Liberazione, dice Donzelli “una straordinaria, gigantesca operazione culturale e politica”, ossia legare – a quel tempo si diceva ‘continuità nella diversità’ – il pensiero politico di Gramsci alla strategia del ‘partito nuovo’, la svolta democratica: fuoriuscita dal bolscevismo, accettazione del sistema parlamentare e ‘via italiana al socialismo’. “E di questa svolta democratico-parlamentare fece – aggiunge Donzelli – Gramsci l’antesignano”. Ecco come Togliatti spiegò al XX Congresso del Pcus la ‘via italiana al socialismo’ pur restando sempre legato all’Urss: nei fatti tale linea fu il compromesso storico. “La ricerca di una via nostra, italiana, di sviluppo verso il socialismo è stata nostra costante preoccupazione. Credo di poter affermare che essa fu già preoccupazione costante di Antonio Gramsci, il quale, in tutta la sua azione politica e particolarmente nell´ultimo periodo della propria vita, fu interessato a dare una traduzione o, per meglio dire, conversione in italiano degli insegnamenti della rivoluzione russa. Di qui la sua analisi della struttura della nostra società, di qui il modo come egli pose il problema dell´alleanza fra operai e contadini in Italia”.
 
Accuratamente dalla gigantesca operazione divulgativa furono tenuti fuori carte e materiali, osserva Donzelli, “sul dissenso politico e personale” tra i due esploso tra il 1926 e il 1933 tanto che Gramsci si convinse nel tempo che Togliatti non solo non fece mai nulla per liberarlo ma che preferì che restasse in carcere.
 
Il dissenso politico
Il dissenso politico, ad esempio, emerse in pieno sulla spinosa questione cattolica: affermare ‘continuità nella diversità’ sul rapporto tra religione-politica, non è assolutamente vero. “Gramsci resta fino alla morte coerente con il pensiero leninista, è un comunista ateo contrarissimo ai Patti Lateranensi e, stando a quanto da lui scritto, non avrebbe certamente seguito ‘la svolta’ di Togliatti rispetto al rapporto tra religione e politica che arrivò fino al voto favorevole sull’art.7 della Costituzione: due impostazioni palesemente stridenti!”, rimarca Donzelli.
 
Il giudizio di Gramsci sui Patti Lateranensi stipulati nel 1929 dal Duce e Pio XI – che per l’occasione definì Mussolini ‘l’Uomo della Provvidenza’ – fu drastico, totalmente negativo. “I concordati intaccano in modo essenziale il carattere di autonomia della sovranità dello stato moderno. Lo stato ottiene una contropartita? Certamente, ma la ottiene sul suo stesso territorio per ciò che riguarda i suoi stessi cittadini”. In pratica lo Stato in tal modo, per Gramsci, diventa ‘confessionale’, in quanto ha ottenuto che “la Chiesa non intralci l’esercizio del potere, ma anzi lo favorisca e lo sostenga. La Chiesa cioè, si impegna verso una determinata forma di governo [..] di promuovere quel consenso di una parte dei governati che lo stato esplicitamente riconosce di non poter ottenere con mezzi propri: ecco la capitolazione dello Stato. […] Se lo Stato rinuncia a essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente. […] Lo Stato non solo non interviene come centro autonomo, ma distrugge ogni oppositore della Chiesa che abbia capacità di limitarne il dominio spirituale sulle moltitudini”.
 
Il pensiero di Giuseppe Vacca
Eppure il presidente della Fondazione Gramsci, Giuseppe Vacca, nel corso della presentazione del suo libro alla libreria ‘Amore&Psiche’ ha affermato: “Togliatti capiva molto di più di Gramsci. Per questo abbiamo avuto un grande Pci. Sin dalla fine degli anni Venti, Togliatti mette da parte la concezione della tradizione marxista sul rapporto tra religione e politica”. Viceversa, ha rimarcato Vacca: “Gramsci resta un illuminista, capito?”. Ed infine: “Non è che riconoscere che i rapporti Stato-Chiesa siano regolati (l’art. 7 della Costituzione), vuole dire convertirsi, ma – ha chiosato Vacca – avere una visione pluralista”. Donzelli non è affatto d’accordo.“Più che un illuminista Gramsci è stato il più coerente e conseguente teorico del leninismo e restò fino alla fine un comunista ed ateo: Togliatti capiva molto di più? E’ un’opinione che non condivido: Togliatti è stato certamente uno dei maggiori dirigenti politici del Novecento, ma anche molto ambiguo”.
 
Nella ‘Prefazione 2102’ al suo libro, Donzelli ha ricostruito minuziosamente, a partire dai Quaderni e non limitandosi solo al Quaderno 13, come gli ha contestato Vacca, la teoria politica e stesso concetto di ‘egemonia’. Emergono in sintesi tre aspetti: una teoria del partito politico come ‘costruttore’ del consenso e della partecipazione delle masse, non ‘settario’, cioè chiuso in se stesso; l’idea di un’alleanza di classe, seppur transitoria, (la Costituente) attorno al proletario di un blocco storico delle forze progressiste; la verifica di riaprire la partita della ‘rivoluzione’ anche in Occidente.
 
Altro motivo di dissenso: la fedeltà allo stalinismo e la cosiddetta svolta liberal-democratica del Pci. “Gramsci rispetto a Togliatti non fu acquiescente alla linea settaria imposta da Stalin e non nascose mai questo suo dissenso”, evidenzia Donzelli riferendosi al pronunciamento imposto nel 1926 da Stalin ai partiti comunisti nazionali sulle due linee emerse dallo scontro con Trockij: socialismo in un solo paese e rivoluzione permanente. Gramsci contesta il metodo in una lettera, a nome all’Ufficio Politico del Pci di cui è diventato capo, al Comitato Centrale del Partito russo: lettera non inoltrata mai da Togliatti rappresentante del Pci al Komintern.
 
Il complicato rapporto personale
Il dissenso tra i due non fu solo politico ma anche di natura personale e non poté esserci alcun ‘chiarimento’ sulla linea politica perché Gramsci finì in carcere: quasi che ebbe qualche vaga intuizione sulla ‘ferocia’ del regime staliniano. Diversamente da Togliatti che quel regime appoggiò e mai si discostò dalla strategia staliniana: “in contrasto con Gramsci, Togliatti fu uno dei più attivi sostenitori ed agenti di Stalin e fece tutto quello che poteva per imporre il suo volere all’estero”.
In carcere fece comodo sicuramente a Mussolini (“un cervello da spegnere”) ma non dispiacque affatto all’Urss e a Togliatti che non fecero mai nulla per la sua liberazione. Anzi ne compromisero la posizione con la lettera di Ruggiero Grieco (febbraio 1928) spedita da Mosca in cui si rivelava il suo ruolo di alto dirigente del Pci, ‘reato’ di cui era imputato, e fattagli recapitare in piena fase istruttoria del processo. Ingenuità? “In Gramsci si insinuò il sospetto che tanto l’Urss quanto Togliatti non solo non fecero nulla ma ostacolarono la sua liberazione: begli amici che hai, gli disse il giudice istruttore Macis”, sottolinea Donzelli: Gramsci fu condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione.

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