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Qui Umbra, dove la vita è un cuscinetto

Un disegno politico-economico di ripresa può partire solo dall’esperienza concreta degli imprenditori, e in particolare di quelli medi. Da diversi anni il centro studi R&S di Mediobanca si occupa di catalogare, studiare e interpretare le correnti che attraversano la media impresa industriale, nella convinzione che essa sia l’architrave di quel “quarto capitalismo” dove la distruzione creativa, le pressioni competitive globali e le spinte all’innovazione continua creano le condizioni per una selezione positiva dei fattori di forza del sistema Paese. Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano le analisi del sistema camerale e dei più attenti centri studi come l’Aaster di Aldo Bonomi. Le imprese medie hanno tenuto meglio sui mercati internazionali durante la crisi, ma nel frattempo hanno cambiato pelle, con nuovi afflussi dal basso e una nuova fisionomia settoriale e regionale. Il Nord-Est-Centro è oggetto di metamorfosi di più lungo periodo, che destrutturano i vecchi distretti e li rendono aperti.
 
La partnership con Boeing
Per attivare il resto del Paese, la chiave di volta è la parte meridionale di questo aggregato, il quadrilatero umbro-marchigiano. Qui Formiche.net ha incontrato Valter Baldaccini, amministratore delegato di Umbra Cuscinetti, che produce tra le altre cose le viti a ricircolazione di sfere che movimentano i flap e gli stabilizzatori degli aerei commerciali di mezzo mondo. Giusto in questi giorni si sono celebrati i 25 anni di partnership tra Umbra e Boeing: fin dal 1987 infatti il colosso di Seattle ha puntato su quest’azienda riconoscendone a più riprese l’affidabilità.
 
Le tappe di Umbra Cuscinetti
Ma la sua storia è legata a scelte imprenditoriali difficili. Nel 1993 Umbra stava per essere ceduta da una multinazionale tedesca. Baldaccini ipotecò tutti i suoi beni per offrire le garanzie necessarie alle banche e subentrare, con un altro manager e due azionisti esterni, nella proprietà dell’azienda. “Non è stata la prospettiva di diventare ricco, ma il timore che l’offerta concorrente mettesse a rischio l’occupazione – dice Baldaccini – che mi ha spinto a fare questa mossa. E infatti dopo due anni l’altro potenziale acquirente è fallito”. Conclusione: a questo punto non ci sarebbe né Umbra, né il suo gruppo (che comprende aziende in Germania e Stati Uniti), né l’insediamento di Foligno che mantiene competenze preziose sul territorio (700 dipendenti, tutti a tempo indeterminato).
 
L’11 settembre e la crisi
Altra prova del fuoco: dopo l’11 settembre le banche chiesero alla proprietà se volesse proseguire la costruzione dei nuovi uffici-stabilimenti da quasi 30mila metri quadrati, inaugurati poi nel 2003. “Una multinazionale un investimento così non lo avrebbe fatto”, afferma Baldaccini. E la crisi? “Ci ha appena sfiorato” dice l’imprenditore, “anche se non mai avrei immaginato che saremmo riusciti a resistere così bene. Anche perché ho visto aziende capaci e belle realtà sparire o dimezzarsi”. Aver superato questi quattro anni terribili senza perdere occupazione e crescendo sul mercato è stato “il più grande successo della nostra storia”.
 
Il credo di Baldaccini
Baldaccini crede in un settore, quello meccanico, che però è destinato a restare in Italia solo come componentistica di precisione, non come carpenteria o meccanica “pesante”. Non è solo questione di costi, ma anche di specializzazione relativa del nostro lavoro e di vantaggio competitivo del sistema delle nostre aziende; a significarlo ancora di più, la recente decisione di Umbra di aprire un centro di ricerca ingegneristico sui motori elettrici ad alte prestazioni ad Albanella (Salerno).
 
Lo scenario tra potenzialità e sfide
È un messaggio importante da un’area segnata dalla crisi di realtà industriali di base (come Basell e Thyssen) che leggevano il territorio anche come snodo (si pensi alla logistica chimica tra Ferrara, Terni e Brindisi). Se le formidabili pressioni globali su quei sistemi di produzione non si tradurranno in una distruzione delle reti di valore locale, ciò sarà merito anche delle medie imprese del territorio. In particolare di quelle in grado di agganciare la catena del valore dei grandi gruppi internazionali, capaci di mantenere e attivare circuiti di eccellenza. A questo mondo la politica deve dare segnali non estemporanei di novità, perché ogni ritardo romano nella comprensione delle dinamiche odierne aumenta di un’altra tacca lo scollamento tra i centri decisionali e un Paese reale che è fatto soprattutto di industrie dinamiche, piccole e medie.


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