Mentre l´Italia produttiva sprofonda, in questi mesi molti sforzi del governo sono stati orientati al sostegno delle start up, senza però definire una vera politica industriale di ampio respiro. Cresce quindi la sgradevole sensazione che l´Italia abbia deciso di puntare molto sulle start up, come panacea alle carenze in materia di politica industriale. Tale scelta pone diverse problematiche non irrilevanti tra le quali: il trasferimento del rischio d´impresa e di ricerca sui giovani e, nel lungo periodo, la fuga del know how all´estero.
In Italia, invece di promuovere l´innovazione all´interno di società solide e maggiormente attrezzate, il decreto 2.0, combinato all´assenza di un politica lungimirante di sostegno alla R&S, contribuisce involontariamente a trasferire una parte non trascurabile del rischio imprenditoriale legato all´introduzione di innovazioni tecnologiche alle categorie più deboli del sistema economico: i giovani e i neo-imprenditori.
Si sta infatti diffondendo sempre più un nuovo paradigma economico nel quale i grandi gruppi tendono esternalizzare i propri sforzi di ricerca tramite il ricorso esterno alle start up.
Piuttosto che assumere team di giovani ricercatori, le multinazionali sembrano puntare sempre più sull´organizzazione di concorsi volti a premiare le start up più innovative. Telecom Italia ne è un esempio. (Working Capital). I grandi gruppi potranno quindi facilmente acquisire le idee e i brevetti più interessanti, scartando i progetti poco maturi ed i loro ideatori e scaricandone i costi sulla collettività. Mentre in Italia si spingono i giovani a creare start up, una politica di sostegno forte alla ricerca privata permetterebbe invece di fare crescere i giovani e le loro innovazioni all´interno di realtà strutturate in grado di garantire maggiori potenzialità di sviluppo alle idee e maggiore solidità economica ai loro ideatori.
Da tempo, per vincere le sfide che pone la globalizzazione, diversi governi europei hanno deciso di puntare molto sull´innovazione e la ricerca diffusa. Senza citare paesi troppo esotici, la vicina Francia, ad esempio, ha speso solo nel 2011 oltre 4.5 miliardi di crediti d´imposta per la ricerca. Oltralpe, dove pur esistono anche forti incentivi per le start up, la gran parte della ricerca privata viene però svolta nelle aziende consolidate e dai grandi gruppi.
La carenza di una visione industriale di sostegno alla ricerca privata apre poi una seconda serie di criticità sia per le start up che per l´intero sistema industriale italiano.
Oggi è infatti innegabile che anche le start up, realtà ad alto tasso di volatilità, siano diventate fattore di competizione tra paesi che vogliono, attraendole, arricchire i propri sistemi industriali. Sebbene il decreto Passera abbia introdotto varie misure per permettere la maturazione delle start up anche a casa nostra, l´Italia rimane un sistema Paese debole, poco capace di trattenere imprenditori rampanti attratti dalle sirene di Paesi più attenti ai concetti di ricerca ed innovazione.
Si assiste allora in Italia al fiorire di iniziative tese a valorizzare i nostri patrimoni per farli sbocciare all´estero. Solo pochi giorni fa, ad esempio, in occasione del Mind the Bridge Venture Camp, la Silicon Valley ha fatto visita in Italia per premiare le migliori idee ed offrire 3 mesi a San Francisco e assegni da 65mila dollari per creare la propria impresa lontano da casa. Anche Israele non é rimasto a guardare e, con il premio Premio Start Up Nation, anche quest´anno regalerà a promettenti startupper italiani viaggi premio per incontrare impenditori e aziende internazionali che hanno aperto a Tel Aviv centri R&S.
I 200 milioni previsti nel decreto sviluppo Crescita 2.0 a sostegno delle start up sono solo un primo passo che andrebbe integrato in una visione di politica industriale più ambiziosa.
Se anche le start up, unico oggetto di attenzione del governo negli ultimi mesi e importante fonte di innovazione per le aziende italiane, dovessero scegliere la via della fuga, il sistema Paese si troverebbe ulteriormente danneggiato e una delle poche scelte di politica economica adottate finora svuotata del proprio significato. Confindustria ha già lanciato l´allarme, qualcuno saprà rispondere?