Giustizia è fatta, almeno in primo grado e in apparenza. Dopo la condanna del maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, il Tribunale vaticano ha inflitto a Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della Segreteria di Stato, due mesi di reclusione per il reato di favoreggiamento. La pena e´ stata sospesa e la difesa ha presentato ricorso.
Sin qui, in estrema sintesi, la cronaca. In realtà il dibattimento che ha preceduto la sentenza è stato alquanto movimentato. Sono state svelate le identità dei fantomatici ´mister X´ e ´mister W´: si tratta dei monsignori Pennacchini (ex vicedirettore della sala stampa vaticana) e Polvani (capo dell´ufficio informazioni e documentazione della Segreteria di Stato vaticano). Entrambi hanno rigettato le accuse di aver partecipato al maneggio di quelle carte riservate e scottanti che poi sono finite nell´ormai celebre libro del giornalista Gianluigi Nuzzi. Entrambi in effetti non sono stati oggetto di imputazioni formali.
Con le condanne di Sciarpelletti e Gabriele potrebbe dirsi chiuso il procedimento penale relativo al caso Vatileaks ma questa sarebbe una tesi troppo semplicistica. Purtroppo il dossier resta avvolto da ombre e l´impressione è che alla corte di Benedetto XVI si sia consumato uno scontro di potere che nulla ha a che fare con il soglio di San Pietro. Delle accuse di mons. Viganò (trasferito negli Usa), di Ettore Gotti Tedeschi (espunto dal vertice dello Ior, e non ancora sostituito) e dello stesso Nuzzi non si discute più. Il cardinale Bertone e padre Georg sono rimasti al loro posto, così come i capi delle conferenze episcopali in Italia e negli Stati Uniti (paese chiave nella dinamica di Vatileaks).
Qualche aggiustamento è stato fatto nella struttura della comunicazione. Per il resto è prevalsa la responsabilità gli uomini di Curia nel non alimentare nuovi scandali. Dispiace solo che degli scandali emersi nei mesi prima non ci sia ancora nessuna chiarezza e soprattutto nessuna visibile sanzione.